A1. Emilia-Romagna, chiarimenti sulla localizzazione degli impianti FER: in vigore la disciplina preesistente
In seguito all’annullamento di parte del decreto ministeriale del 21 giugno 2024 da parte del TAR del Lazio e in attesa delle pronunce della Corte Costituzionale su diverse questioni di legittimità costituzionale, la Regione Emilia-Romagna ha chiarito quale sia la disciplina attualmente applicabile alla localizzazione degli impianti a fonti rinnovabili (FER) sul proprio territorio. Con una comunicazione ufficiale firmata dall’assessora Irene Priolo e indirizzata a Comuni, Unioni di Comuni, Città Metropolitana di Bologna, Province, ordini professionali e forze economiche e sociali, la Giunta regionale ha precisato che, in assenza di criteri aggiornati a livello nazionale, si applicano le normative vigenti prima del tentativo di riforma ministeriale. In particolare, restano pienamente operative le Linee Guida statali del 10 settembre 2010, attuate attraverso le deliberazioni assembleari regionali n. 28/2010 e n. 51/2011, recentemente aggiornate dalla DAL n. 125/2023 per adeguarsi al D.Lgs. 199/2021. Il nodo centrale è rappresentato dalla sentenza n. 9155/2025 del TAR Lazio, che ha annullato i commi 2 e 3 dell’art. 7 del decreto ministeriale per aver introdotto, tra l’altro, una fascia di rispetto fino a 7 km dai beni tutelati senza una base unitaria di criteri e senza salvaguardare i procedimenti già avviati. Questa pronuncia, assieme alle ordinanze che hanno sollevato dubbi costituzionali su norme statali e regionali (in particolare la legge sarda n. 20/2024), ha reso necessaria una temporanea sospensione dell’iter legislativo regionale per la definizione delle nuove aree idonee. Alla luce di ciò, la Regione ha ribadito che, in attesa della ridefinizione del quadro normativo nazionale, valgono ancora i criteri localizzativi precedenti. Questi si fondano sulla possibilità per le Regioni di individuare aree e siti non idonei, nel rispetto delle Linee Guida nazionali del 2010 e dei principi di pianificazione locale. Si conferma anche la validità delle aree ritenute idonee ex art. 20, comma 8, del D.Lgs. 199/2021, in attesa del nuovo decreto ministeriale che dovrà stabilire i criteri aggiornati per la loro definizione. Infine, la Regione richiama l’attenzione sulla disciplina specifica degli impianti agrivoltaici, regolata dal D.L. n. 1 del 2012 e dalle Linee Guida ministeriali del 2022, e sui principi generali fissati dal D.Lgs. 190/2014. In un contesto segnato da elevato contenzioso e incertezza normativa, l’amministrazione invita gli enti locali e gli operatori del settore a prestare massima attenzione alle evoluzioni giurisprudenziali e conferma la piena operatività delle normative regionali finora vigenti.
A2. Credito d’imposta 4.0: estensibilità dell’agevolazione ai produttori di energia elettrica
L’agevolazione prevista dal credito d’imposta per investimenti in beni strumentali nuovi (Credito 4.0), introdotta con la Legge di Bilancio 2021 e modificata nel 2022, solleva dubbi interpretativi in merito alla sua applicabilità ai produttori di energia elettrica, in particolare da fonti rinnovabili. Secondo la Circolare congiunta n. 4/E del 2017 di Agenzia delle Entrate e MiSE, sono escluse le soluzioni finalizzate alla produzione di energia, trattandosi – nella prospettiva dell’amministrazione – di beni accessori alla produzione, non riconducibili alla categoria dei beni strumentali agevolabili.
Tale orientamento è stato ribadito dalla DRE Lombardia (interpello 904-1257/2020), ma senza distinguere tra impianti accessori e impianti principali, estendendo un principio originariamente limitato. Questo approccio è stato criticato da parte della dottrina, che evidenzia come l’Allegato A alla Legge n. 232/2016 ricomprenda impianti destinati alla trasformazione di materiali e materie prime, definizione che può ragionevolmente includere anche gli impianti per la produzione di energia elettrica, considerata “bene mobile” con valore economico e giuridico autonomo. Anche la Circolare MiSE del 23 maggio 2018 ha riconosciuto che un impianto può essere agevolabile se strettamente legato al processo produttivo principale dell’impresa, principio che dovrebbe valere anche per le centrali elettriche. Pertanto, in presenza di beni nuovi, mobili, strumentali e dotati dei requisiti tecnici previsti (inclusa perizia tecnica per valori > € 300.000), le imprese che producono energia come attività principale potrebbero rientrare nel perimetro dell’agevolazione 4.0, in contrasto con un’interpretazione amministrativa oggi eccessivamente estensiva e non del tutto coerente con la ratio normativa.
(Venerdì 13 giugno 2025, da www.quotidianoenergia.it)
A3. D.L. Infrastrutture: emendamenti e novità su aree idonee, Fer, ricariche e data center
Prosegue l’esame del Decreto Infrastrutture n. 73/2025 presso le Commissioni Ambiente e Trasporti della Camera. Tra i circa 700 emendamenti presentati, oltre 50 si concentrano sull’art. 13, che modifica il Testo unico rinnovabili (D.Lgs. 190/2024), con l’obiettivo di chiarire e riformulare la disciplina delle zone di accelerazione per gli impianti a fonti rinnovabili (Fer). In particolare, alcune proposte intendono sostituire il riferimento alla legge regionale per l’individuazione delle aree idonee con quello ai piani per l’uso delle Fer previsti dalla Legge n. 10/1991. Un’altra proposta dello stesso gruppo chiede che l’idoneità sia legata alla superficie su cui insiste l’impianto, allineandosi con le posizioni espresse da Alleanza per il fotovoltaico in sede di audizione. Numerosi emendamenti intervengono anche sull’ambito della procedura abilitativa semplificata (Pas), proponendo di limitare il dissenso motivato ai soli casi in cui sia previsto come obbligatorio e vincolante dalla legge, nonché di precisare la nozione di “interesse pubblico prevalente”. Sulle aree idonee ope legis si propone di includere i terreni agricoli con limitazioni colturali, escludendo quelli legati a produzioni DOP o IGP. Altri emendamenti mirano ad ampliare il perimetro delle zone di accelerazione ai bacini idrici multifunzionali e alle infrastrutture portuali turistiche. Il M5S chiede maggior coinvolgimento delle comunità locali, mentre il PD propone di prorogare al 30 settembre 2025 il termine per la sottoposizione alla VAS. Un emendamento trasversale estende agli impianti di maggiore potenza installabili in aree industriali il regime semplificato previsto per le aree di accelerazione. Altri interventi propongono di includere le aree artigianali e di esentare gli impianti agrivoltaici conformi alle linee guida 2022 dalla valutazione di incidenza. Rilevante anche la proposta di integrare i criteri di priorità ambientale (ex art. 8, D.Lgs. 152/2006) riconoscendo vantaggi ai progetti eolici che riducano il numero di aerogeneratori e aumentino la potenza installata. Sul fronte elettrico, un emendamento bipartisan introduce una procedura semplificata per le condutture in cavi CEI, sostituendo la dichiarazione asseverata con un’attestazione di conformità del gestore. In materia di concessioni idriche, la Lega propone che gli enti pubblici titolari di impianti idroelettrici possano partecipare alle gare con diritto di prelazione. Altri emendamenti della stessa forza politica riguardano la governance degli ambiti idrici e la stabilizzazione del personale delle Autorità di bacino. Infine, su infrastrutture di ricarica, PD, Lega e FdI chiedono di estendere la durata delle autorizzazioni a 20 anni (con possibilità di rinnovo decennale), mentre il M5S propone una durata fissa di 15 anni a partire dalla connessione alla rete. Per i data center, emendamenti identici di FI e FdI prevedono un procedimento autorizzativo unico.
A4. Illegittima inerzia procedimentale: il TAR Sardegna impone al MASE il rispetto dei termini nella VIA eolica
Con una sentenza destinata a fare giurisprudenza, il TAR Sardegna ha accolto il ricorso promosso da Asja Ambiente Italia S.p.A., titolare di un progetto eolico da 55,8 MW nei comuni di Sardara, Villanovaforru, Sanluri e Lunamatrona (SU), censurando l’inerzia del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) e della Commissione tecnica PNRR/PNIEC nell’ambito del procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). Il Tribunale ha ricordato che il carico amministrativo che grava sugli uffici pubblici non può in alcun modo giustificare il mancato rispetto dei termini procedurali stabiliti dalla normativa vigente. Nella sentenza si legge che “il gran numero di provvedimenti in corso presso le Amministrazioni competenti […] non può ridondare a danno del privato istante né giustificare uno ‘sforamento’ dei tempi normativamente imposti”. I giudici amministrativi hanno respinto la linea difensiva del MASE che, richiamando la mole dei progetti da esaminare, di fatto legittimava un’inerzia che sospendeva i termini procedurali, privando il privato di una decisione nei tempi previsti. Una simile impostazione, secondo il TAR, determinerebbe una disapplicazione de facto della normativa sui termini di conclusione del procedimento, pregiudicando la certezza dei rapporti giuridici e compromettendo i principi di trasparenza ed efficacia dell’azione amministrativa. Alla luce di tale pronuncia, la Commissione PNRR/PNIEC è ora obbligata a predisporre, entro sessanta giorni, uno schema di provvedimento, anche privo di vincoli di contenuto. Successivamente, il Direttore Generale per la Transizione Ecologica e gli Investimenti Verdi del MASE dovrà adottare l’atto conclusivo entro ulteriori sessanta giorni. Qualora tale termine non venisse rispettato, il Capo del Dipartimento per lo Sviluppo Sostenibile del Ministero sarà chiamato a esercitare il potere sostitutivo entro i successivi novanta giorni. Come ulteriore conseguenza, il TAR ha condannato il MASE a rifondere ad Asja il 50% degli oneri istruttori già versati, pari a 19.914,40 euro, riconoscendo così non solo il diritto alla conclusione del procedimento nei tempi previsti, ma anche un ristoro economico per l’inefficienza subita. La sentenza rappresenta dunque un monito chiaro: la complessità della transizione ecologica non può mai giustificare una deroga di fatto alle garanzie fondamentali poste a tutela dei procedimenti amministrativi.
(Lunedì 16 giugno 2025, da www.quotidianoenergia.it)
A5. Riforma accise e compliance doganale: il nuovo ruolo della qualifica SOAC alla luce della circolare 13/2025
Con la pubblicazione della circolare n. 13/2025, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha fornito un primo inquadramento operativo alla revisione normativa introdotta dal D.Lgs. 43/2025, che ha inciso in modo significativo sul Testo Unico delle Accise (D.Lgs. 504/1995). Tra le principali innovazioni, si segnala l’introduzione della figura del Soggetto Obbligato Accreditato (SOAC), destinata a rivoluzionare il regime delle garanzie fiscali. Tale qualifica potrà essere richiesta anche dagli operatori attivi nella vendita di energia elettrica e gas naturale e diventerà accessibile solo dopo l’emanazione di uno specifico decreto ministeriale. L’ammissione al nuovo regime sarà subordinata a un’istruttoria amministrativa basata su criteri di affidabilità organizzativa, gestionale e fiscale, da cui dipenderà il livello di accreditamento e l’eventuale esonero, totale o parziale, dal versamento della cauzione. Per coloro che, in base alla disciplina previgente, già beneficiavano di un’esenzione cauzionale, è previsto un periodo transitorio che consente la presentazione dell’istanza di accreditamento entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto attuativo. In caso di mancata presentazione della domanda, l’esonero verrà meno definitivamente, mentre l’eventuale rigetto della richiesta comporterà l’obbligo di costituire garanzia entro ulteriori 60 giorni. L’attuale sistema cauzionale subirà un irrigidimento: la cauzione sarà calcolata secondo valori medi annuali riferiti all’accisa effettivamente dovuta, con obbligo di adeguamento qualora l’importo garantito risulti inferiore alle soglie stabilite. L’omesso adeguamento potrà comportare la revisione d’ufficio e, nei casi più gravi, la sospensione della licenza. In parallelo, per gli operatori dell’energia elettrica e del gas naturale privi della qualifica SOAC, la riforma impone un versamento iniziale della cauzione pari al 15% dell’accisa annua stimata, da aggiornare con cadenza trimestrale sulla base dei consumi reali. Un altro importante cambiamento riguarda la dichiarazione di consumo: essa diventa semestrale, sostituendo l’attuale obbligo annuale per la generalità dei soggetti, ad eccezione di quelli accreditati con livello di affidabilità avanzato. Anche il sistema di acconti subisce una trasformazione: viene abbandonato il versamento in dodicesimi sulla base dell’accisa dell’anno precedente, a favore di un versamento mensile calcolato sui consumi effettivi del mese precedente. Sul piano definitorio, la riforma interviene con l’eliminazione della distinzione tra usi industriali e civili del gas naturale, sostituendola con le categorie di usi domestici e non domestici. In tale contesto, viene inoltre formalizzato l’utilizzo promiscuo del gas per impieghi soggetti a diversi regimi fiscali, con l’unica eccezione dell’uso autotrazione. Ulteriori chiarimenti della circolare riguardano l’armonizzazione graduale dell’accisa tra gasolio e benzina, destinata a concludersi entro il 2030, nonché la razionalizzazione dell’imposizione su prodotti quali oli lubrificanti, bitumi e altri derivati, anche attraverso l’eliminazione di talune esenzioni previgenti come quelle per provviste di bordo. Se da un lato si assiste a un incremento sensibile degli oneri di compliance, dall’altro si intravede l’opportunità di accedere a regimi semplificati riservati ai soggetti ritenuti maggiormente affidabili. In questo contesto, sarà essenziale mantenere alta l’attenzione sulle prassi applicative future, auspicando che esse siano orientate a criteri di chiarezza, proporzionalità e dialogo con le categorie economiche, quale unico modo per garantire certezza del diritto e sostenibilità del sistema.
(Mercoledì 18 giugno 2025, da www.quotidianoenergia.it)
B1. Società, Banca e Impresa
Cessione in blocco ex art. 58 TUB: la prova dell’esistenza del credito non si esaurisce con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale
Il Tribunale di Crotone, con la sentenza del 2 maggio 2025 n. 249, ha affermato un principio ormai ricorrente nella giurisprudenza di merito e di legittimità in materia di cessione in blocco dei crediti ai sensi dell’art. 58 del Testo Unico Bancario: la pubblicazione dell’avviso di cessione sulla Gazzetta Ufficiale, pur costituendo una condizione di efficacia della cessione verso i debitori ceduti, non può essere considerata di per sé sufficiente a dimostrare l’effettiva esistenza dei singoli contratti ceduti, soprattutto qualora il debitore contesti tale esistenza. Secondo il giudice calabrese, in caso di contestazione da parte del debitore ceduto, il giudice è tenuto a compiere un accertamento complessivo delle risultanze istruttorie. La pubblicazione dell’avviso in G.U. può avere solo un valore indiziario, in particolare quando sia stata promossa unilateralmente dalla parte cedente, ma non può surrogare il necessario onere probatorio a carico della cessionaria. Questo orientamento si pone in linea con diverse pronunce recenti della Corte di Cassazione, tra cui le Ordinanze n. 10926 e n. 10018 del 2025, che ribadiscono la distinzione concettuale e funzionale tra la prova della cessione come negozio traslativo e gli adempimenti pubblicitari richiesti dalla normativa speciale. L’art. 58 TUB e la legge sulla cartolarizzazione (L. 130/1999) hanno introdotto un meccanismo volto a semplificare le operazioni di trasferimento massivo dei crediti, in particolare da parte degli istituti bancari. La cartolarizzazione, regolata anche dal diritto sovranazionale (Reg. UE 2017/2402), consente a un’impresa – l’originator – di trasferire crediti presenti o futuri a una Società veicolo (SPV), la quale provvede a emettere titoli obbligazionari per reperire la liquidità necessaria al finanziamento dell’operazione. Tuttavia, la prassi di pubblicare avvisi contenenti soltanto descrizioni generiche dei criteri identificativi dei crediti ceduti rende complessa, se non impossibile, l’individuazione del singolo rapporto da parte del debitore. Per questo motivo, larga parte della giurisprudenza ritiene che, per agire in giudizio, la Società cessionaria debba allegare il contratto di cessione o, quanto meno, fornire prova documentale inequivoca che colleghi lo specifico credito oggetto della domanda giudiziale ai criteri descritti nell’avviso pubblicato. Tale posizione trova fondamento anche nelle sentenze di Cassazione nn. 4453/2018 e 9768/2016, che affermano l’onere del cessionario di provare il titolo traslativo in giudizio, pur senza dover dimostrare la causa o il corrispettivo del negozio. Alcune pronunce di merito, come quelle del Tribunale di Napoli, Benevento, Padova e Treviso, si attestano su un’interpretazione rigorosa, mentre altre, come quelle dei Tribunali di Pavia, Cuneo e Ragusa, adottano un approccio più flessibile, purché l’estratto pubblicato consenta un’individuazione certa dei crediti ceduti. Si tratta di una divergenza solo apparente, poiché in entrambi gli orientamenti il fulcro del giudizio si colloca sull’onere della prova e sulla concreta possibilità, per il giudice, di ricostruire il perimetro dei rapporti effettivamente trasferiti. Ulteriore profilo rilevante riguarda, infine, il regime patrimoniale dei crediti cartolarizzati: essi costituiscono patrimonio separato della Società veicolo e non sono aggredibili dai creditori del cedente. Pertanto, come ribadito anche dalla Cassazione (Ord. n. 204/2025) e da recenti pronunce del Tribunale di Napoli e di Vasto, al debitore ceduto non è consentito proporre domande o eccezioni fondate su crediti vantati verso la banca cedente. La pronuncia del Tribunale di Crotone si inserisce dunque in un quadro giurisprudenziale sempre più orientato a riequilibrare l’efficienza degli strumenti di finanza strutturata con le garanzie sostanziali e processuali del debitore ceduto, riaffermando la centralità dell’onere della prova nei giudizi relativi alla legittimazione attiva del cessionario.
(Lunedì 16 giugno 2025, dal “Quotidiano Giuridico”)