Settimana 28/2025 Rassegna Stampa

A. Energy Law

A1. Approvata in Lombardia la Legge sul Clima: nuovo impianto normativo regionale tra transizione energetica e pluralismo delle fonti

Con l’approvazione da parte del Consiglio regionale della Lombardia, è stata formalmente adottata la Legge regionale sul clima, articolata in 16 articoli, che si configura come un intervento legislativo di ampio respiro in materia ambientale ed energetica. Il testo normativo è stato approvato a maggioranza e rappresenta uno degli strumenti più avanzati a livello regionale nell’ambito della lotta ai cambiamenti climatici, configurandosi come fonte secondaria di attuazione delle direttive comunitarie e dei principi nazionali in tema di sostenibilità ambientale. Tra i profili giuridicamente più rilevanti, si segnala l’introduzione di misure che mirano alla neutralità climatica mediante interventi di mitigazione e adattamento, nel rispetto degli obblighi derivanti dagli artt. 9 e 41 Cost., nonché della normativa eurounitaria in materia di Green Deal e transizione ecologica. In tale contesto, l’articolo 2 del provvedimento stabilisce che la Valutazione ambientale strategica (VAS) dei piani e programmi regionali e locali debba essere coerente con l’obiettivo della neutralità carbonica, integrando tale finalità nella programmazione pubblica. Di particolare rilievo è l’art. 6, che disciplina la promozione della produzione energetica da fonti rinnovabili (FER), ivi inclusi biocarburanti e biomasse legnose, con esplicito riferimento all’obbligo – o alla facoltà – di installazione di impianti rinnovabili negli edifici di nuova costruzione o oggetto di ristrutturazione rilevante. A tal fine, il legislatore regionale ha previsto uno stanziamento di 400.000 euro da destinarsi a misure di decarbonizzazione nel settore edilizio. Il provvedimento si distingue, inoltre, per l’introduzione del principio di pluralismo energetico, mediante il riconoscimento della possibilità di integrare, accanto alle FER, forme di produzione da fonte nucleare e tecnologie innovative quali la cattura e il riutilizzo del carbonio. Tale apertura, contenuta nei considerando e nei lavori preparatori della legge, riflette una scelta di policy regionale che, pur suscettibile di profili di conflitto con la riserva statale ex art. 117, comma 3, Cost., si innesta in una prospettiva di cooperazione interregionale, come dimostrano le intese con Piemonte e Liguria e l’accordo triennale già siglato con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA). In materia di governo del territorio, il testo normativo promuove l’impiego di “tetti verdi” e la realizzazione di infrastrutture a ridotto impatto ambientale, nonché la de-pavimentazione delle superfici impermeabilizzate e la riqualificazione di aree urbane, in conformità ai principi di sostenibilità ambientale e uso efficiente delle risorse. Rilevano altresì le disposizioni sulla promozione della mobilità sostenibile e sull’impiego di materiali riciclati negli appalti pubblici e nelle opere infrastrutturali. La legge istituisce infine un Comitato regionale per il clima, con funzioni consultive, di monitoraggio e indirizzo strategico, e introduce lo strumento dei “Patti territoriali per la sostenibilità”, qualificabili come accordi di natura volontaria ex art. 11 della Legge 241/1990, stipulati tra enti pubblici, operatori economici e soggetti del terzo settore, finalizzati alla realizzazione coordinata di progetti territoriali di transizione ecologica. La partecipazione a tali patti costituisce criterio preferenziale per l’accesso a risorse e bandi regionali. La legge lombarda sul clima rappresenta dunque un articolato modello di regolazione settoriale, che si inserisce in un quadro policentrico di fonti e competenze, ponendosi come riferimento giuridico per le future politiche ambientali a livello sub-statale.

(Mercoledì 9 luglio 2025, da www.quotidianoenergia.it)

A2. Abruzzo: presentata la proposta di legge per il riordino del servizio idrico integrato

È stata formalmente illustrata la proposta di legge regionale finalizzata al riordino del sistema idrico integrato della Regione Abruzzo, su iniziativa del presidente del Consiglio regionale Lorenzo Sospiri. Il progetto normativo interviene in modo strutturale sull’assetto organizzativo e gestionale del servizio, con l’obiettivo di superare la frammentazione attuale e ricondurre le competenze a un modello di tipo accentrato, basato su due macro-gestori regionali. L’intervento si colloca nell’ambito delle prerogative regionali in materia di organizzazione dei servizi pubblici locali, come previsto dall’art. 117, comma 4, Cost., in coerenza con i principi fondamentali dettati dalla normativa statale sul servizio idrico integrato, in particolare il D.Lgs. 152/2006 (c.d. “Codice dell’Ambiente”). Il testo, nel ridefinire la struttura della governance, si prefigge di costituire un sistema più efficiente, sostenibile e capace di realizzare economie di scala, garantendo l’uniformità tariffaria su tutto il territorio regionale e la continuità del servizio idrico, con particolare attenzione alla riduzione delle perdite e alla piena accessibilità per tutti gli utenti. L’impianto della proposta normativa mira, inoltre, a rafforzare le capacità gestionali e infrastrutturali delle società attualmente operative, prevedendo strumenti di coordinamento tecnico e strategico, tra cui l’interconnessione delle reti e una centrale unica di acquisto per beni, servizi ed energia. L’ottimizzazione delle gestioni consente, in una logica di diritto pubblico economico, di incrementare la competitività del comparto e di migliorare la qualità complessiva delle prestazioni erogate, anche in ambito agricolo e produttivo. La riforma si configura anche come leva per l’accesso a finanziamenti europei e nazionali, grazie a una maggiore coerenza nella pianificazione e all’accorpamento degli enti di gestione. L’architettura proposta risponde a una visione regionale integrata, superando gli storici limiti provinciali e locali, e favorisce la transizione verso un sistema moderno, trasparente e capace di affrontare in via preventiva le criticità legate alla scarsità e alla distribuzione disomogenea della risorsa idrica. I profili attuativi della legge, ancora in fase di definizione, saranno sottoposti al vaglio delle competenti commissioni consiliari, con l’obiettivo di avviare il dibattito parlamentare entro la pausa estiva. L’iniziativa legislativa prevede il coinvolgimento dei portatori di interesse, in una logica di partecipazione istituzionale finalizzata a garantire un equilibrio tra esigenze di efficienza gestionale e tutela dell’interesse collettivo al servizio idrico come bene comune essenziale. La proposta si inserisce in una più ampia tendenza normativa a livello regionale volta a razionalizzare i servizi pubblici locali, nel solco delle riforme che hanno interessato altri ambiti territoriali, e si pone come modello potenziale per ulteriori interventi di riforma amministrativa e regolatoria nel settore idrico nazionale.

(Mercoledì 9 luglio 2025, da www.quotidianoenergia.it)

B. Varie

B1. Società, Banca e Impresa

Rating di Legalità e Modello 231: la necessità di una valorizzazione normativa differenziata nel nuovo regolamento attuativo dell’AGCM

Con la conclusione, lo scorso 25 giugno 2025, della consultazione pubblica sullo schema di regolamento attuativo in materia di rating di legalità, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha aperto un’importante finestra di riflessione sull’evoluzione dello strumento, introdotto dal D.L. n. 1/2012 e rivolto alle imprese che intendano attestare l’adesione a criteri di legalità, trasparenza e correttezza gestionale. In tale contesto, si è posta in evidenza la necessità – segnalata da vari stakeholder, tra cui l’Associazione Generazione 231 – di una più marcata valorizzazione dell’adozione del Modello di organizzazione, gestione e controllo ex D.Lgs. 231/2001.

L’attuale bozza regolamentare prevede che l’adozione di un modello organizzativo 231 sia posta sullo stesso piano della presenza di una funzione di compliance, ai fini dell’attribuzione del punteggio premiale. Tuttavia, dal punto di vista tecnico-giuridico, tale equiparazione risulta non pienamente congruente con la diversa intensità strutturale, organizzativa e operativa delle due ipotesi. Il Modello 231 impone un sistema complesso e articolato di adempimenti: dalla predisposizione e aggiornamento del modello, alla nomina dell’Organismo di Vigilanza, all’implementazione di attività di formazione, alla conduzione di risk assessment e alla gestione di eventuali violazioni mediante un impianto sanzionatorio interno. Tali elementi, di natura obbligatoriamente documentabile e soggetti a controllo ex post, evidenziano una portata ben più incisiva rispetto ad una generica funzione compliance, sovente di tipo consultivo o meramente gestionale. La premialità concessa a chi adotta un Modello 231 dovrebbe dunque essere graduata in modo differenziato e proporzionato alla complessità dell’apparato normativo implementato. Ulteriori osservazioni formulate nel corso della consultazione hanno riguardato l’opportunità di riconoscere un punteggio aggiuntivo per l’adozione di sistemi di whistleblowing conformi alla disciplina vigente (D.Lgs. n. 24/2023), ritenuti strumenti fondamentali nella prevenzione delle illecite condotte e nell’effettiva attuazione del principio di trasparenza. Inoltre, è stata avanzata la proposta di rendere interoperabili le informazioni trasmesse all’AGCM da parte delle imprese richiedenti – tra cui l’adozione del Modello 231 e i nominativi dell’Organismo di Vigilanza (OdV) – con altri registri pubblici o ad accesso qualificato, come le visure camerali, in una logica di sistema ispirata alla trasparenza della supply chain e al contrasto delle frodi. In definitiva, l’intervento di aggiornamento del regolamento sul rating di legalità si presenta come occasione normativa strategica per consolidare la funzione del Modello 231 come parametro qualificante di legalità sostanziale, esigendo tuttavia una declinazione regolamentare più raffinata e coerente con le caratteristiche tecniche dell’istituto.

(Venerdì 4 luglio 2025, dal “Quotidiano Giuridico”)

B2. Edilizia

Espropriazione per pubblica utilità e interesse a ricorrere: la minima entità dell’area non incide sulla legittimazione ad agire

Con la sentenza n. 5517 del 25 giugno 2025, la IV Sezione del Consiglio di Stato ha affermato un importante principio in materia di legittimazione processuale nel contesto delle procedure espropriative per pubblica utilità. In particolare, è stato ribadito che l’esiguità della superficie oggetto di espropriazione – nel caso di specie appena 4 mq per la realizzazione di una pista ciclabile – non è idonea a determinare l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse. Secondo i Giudici, rientra pienamente nelle prerogative sia del proprietario che dell’usufruttuario il diritto di contestare atti amministrativi che incidano, anche in modo marginale, sulle rispettive posizioni giuridiche soggettive. Ne consegue che il giudice amministrativo non può sindacare l’entità del possibile vantaggio conseguibile dal ricorrente per escluderne la sussistenza dell’interesse a ricorrere, trattandosi di un’ipotesi in cui è sufficiente la possibilità, anche solo potenziale, di un’utilità giuridica riconoscibile. Particolarmente rilevante è anche il passaggio motivazionale della pronuncia in cui si chiarisce che, nella valutazione dell’impatto ambientale connesso all’opera pubblica, l’Amministrazione esercita un potere connotato da ampia discrezionalità, che si estende ben oltre i meri profili tecnici e implica un apprezzamento ponderato degli interessi pubblici e privati coinvolti. Tale discrezionalità non è sindacabile nel merito dal giudice amministrativo, salvo ipotesi di manifesta illogicità, travisamento dei fatti, macroscopici difetti istruttori o difetto assoluto di motivazione. La decisione in commento conferma l’orientamento già espresso in passato dalla giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. I, 7 settembre 2020, n. 5379), contribuendo a consolidare il principio per cui la tutela giurisdizionale nel giudizio amministrativo non può essere compressa sulla base di parametri quantitativi legati alla dimensione del bene inciso, ma va garantita in presenza di una lesione, anche minima, della sfera giuridica del soggetto ricorrente. Questa sentenza si pone dunque come significativo riferimento in tema di delimitazione dell’interesse a ricorrere, in particolare nell’ambito delle espropriazioni per finalità pubbliche, ribadendo il ruolo garantista della giurisdizione amministrativa rispetto ai diritti dominicali e agli istituti reali limitati, a prescindere dalla consistenza materiale della porzione immobiliare coinvolta.

(Martedì 8 luglio 2025, dal “Quotidiano Giuridico”)

B3. Contrattualistica

Solidarietà nel contratto d’appalto: direttore dei lavori e appaltatore corresponsabili per i danni al committente

Con l’Ordinanza n. 18405 del 7 luglio 2025, la Corte di Cassazione, Sezione II Civile, ha ribadito un principio ormai consolidato nella giurisprudenza in materia di appalti: l’appaltatore e il direttore dei lavori (o progettista) rispondono in solido nei confronti del committente per i danni derivanti dall’esecuzione dell’opera, quando i rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a provocare il medesimo evento dannoso. La responsabilità solidale si fonda sul combinato disposto degli artt. 2055, primo comma, e 1292 del Codice Civile, anche nel caso in cui le condotte illecite derivino da violazioni di obblighi giuridici differenti. Il caso in esame trae origine da una controversia tra il committente B.G. e l’impresa appaltatrice R. & C. S.a.s., nonché il socio accomandatario in qualità di direttore dei lavori. Il Tribunale di Genova, in primo grado, ha accertato l’esistenza di un danno derivante da difetti costruttivi e ha condannato entrambi i convenuti al risarcimento, riconoscendo tuttavia tra loro una ripartizione interna del danno (due terzi a carico dell’impresa e un terzo al direttore). La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello, e infine dalla Cassazione. La Suprema Corte ha chiarito che la solidarietà si configura nonostante le responsabilità siano riferibili a titoli differenti: quella dell’appaltatore nasce dal contratto di appalto, quella del direttore dei lavori da un contratto d’opera professionale. Non rileva che le condotte siano imputabili a violazioni di norme distinte, purché concorrano causalmente alla produzione del medesimo danno. Il direttore dei lavori ha un obbligo tecnico di controllo sulla corretta esecuzione delle opere: non solo deve rilevare le difformità, ma anche prevenirle, adottando tutte le misure necessarie e segnalando tempestivamente eventuali criticità al committente. Questa decisione conferma un orientamento giurisprudenziale consolidato (v. Cass. nn. 14502/2024, 18289/2020, 3651/2016), e rafforza la funzione di garanzia del direttore dei lavori, che non può limitarsi a un controllo formale dell’opera, ma deve svolgere un’attività di vigilanza sostanziale e proattiva. In mancanza, risponde in solido con l’appaltatore per i danni cagionati al committente, anche quando si tratti di vizi esecutivi che un’adeguata sorveglianza avrebbe potuto evitare. La pronuncia si inserisce in una linea interpretativa che mira a tutelare il committente, parte più debole nel contratto d’appalto, assicurandogli la possibilità di rivalersi, in via solidale, su tutti i soggetti coinvolti nell’esecuzione dell’opera difettosa.

(Giovedì 10 luglio 2025, dal “Quotidiano Giuridico”)