Settimana 30-31/2025 Rassegna Stampa

A. Energy Law

A1. La Campania aggiorna le linee guida per l’agrivoltaico: profili giuridici e implicazioni amministrative

La Regione Campania ha adottato la quarta versione delle linee tecnico-agronomiche per lo sviluppo degli impianti agrivoltaici, un intervento che assume rilevanza non solo sotto il profilo tecnico, ma anche sotto l’aspetto giuridico e amministrativo. L’aggiornamento si inserisce nel più ampio contesto normativo nazionale e regionale teso a promuovere la transizione ecologica e la decarbonizzazione attraverso l’integrazione tra produzione agricola e produzione energetica da fonti rinnovabili. Le linee tecnico-agronomiche, pur non avendo natura normativa in senso stretto, costituiscono atti di indirizzo amministrativo con forza vincolante nei confronti degli organi regionali e degli operatori che intendono avviare iniziative nel settore agrivoltaico. In quanto tali, esse integrano il quadro regolatorio e incidono significativamente sul procedimento autorizzatorio, divenendo parte integrante dell’istruttoria tecnico-amministrativa condotta dalle conferenze di servizi o dagli sportelli unici per le attività produttive (SUAP). La quarta versione del documento campano trae fondamento dalle linee guida ministeriali del 2022, che hanno introdotto un primo standard tecnico nazionale per l’agrivoltaico avanzato, definendo criteri minimi e requisiti per l’accesso agli incentivi. La Regione Campania, recependo tali indicazioni, ha proceduto a una rielaborazione organica del proprio testo, con l’intento di rafforzarne la coerenza normativa e migliorare l’efficienza amministrativa. Uno degli obiettivi dichiarati del nuovo documento è la semplificazione dei procedimenti autorizzativi. In tale prospettiva, le linee guida assumono un ruolo preminente nell’orientare i proponenti già nella fase progettuale, riducendo la discrezionalità tecnica delle amministrazioni coinvolte e favorendo una valutazione più spedita e standardizzata delle istanze. Significative sono le novità introdotte nella versione aggiornata, tra cui un allegato specifico dedicato alla vegetazione prevalente per fasce altitudinali – utile a verificare la coerenza tra l’impianto e il contesto agroecologico – e una maggiore strutturazione della sezione relativa al monitoraggio post-operam. Quest’ultima aspetto assume rilevanza giuridica poiché consolida l’obbligo di verifica ex post dei requisiti dichiarati in fase progettuale, rafforzando l’efficacia delle prescrizioni autorizzative e rendendo più agevole l’eventuale attivazione di sanzioni o provvedimenti in autotutela in caso di inadempienze. L’iniziativa della Campania si colloca in un contesto nazionale in cui altre Regioni hanno avviato processi simili. La Sicilia, ad esempio, ha adottato proprie linee tecnico-agronomiche, mentre l’Umbria ha previsto l’introduzione di un analogo documento nell’ambito del disegno di legge sulle aree idonee per gli impianti FER. Tali sviluppi sollecitano un’esigenza di coordinamento tra fonti regionali, anche al fine di evitare disomogeneità applicative che potrebbero compromettere la parità di trattamento tra operatori e la certezza del diritto. Il quadro si completa con l’intervento del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, che ha recentemente adottato un decreto volto a rimodulare i tempi di entrata in esercizio e di rendicontazione delle spese per i progetti finanziati nell’ambito del PNRR. Tale atto, che ha effetto su scala nazionale, incide anche sul perimetro applicativo delle linee guida regionali, imponendo un aggiornamento continuo degli strumenti amministrativi locali per mantenerne l’efficacia e la coerenza con la programmazione europea.

(Giovedì 17 luglio 2025, da www.quotidianoenergia.it)

A2. Curtailment degli impianti Fer: l’intervento regolatorio di Arera per tutelare i piccoli produttori

L’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (Arera) ha avviato una consultazione pubblica – aperta fino al 15 settembre – che introduce nuove tutele per i piccoli impianti da fonti rinnovabili (Fer) con potenza fino a 6 kW, particolarmente colpiti dai fenomeni di distacco automatico causati dall’eccessiva tensione sulle reti di distribuzione in bassa tensione (BT). Il fenomeno del curtailment, ossia la riduzione forzata della produzione elettrica immessa in rete, è in costante crescita e ha sollevato un numero rilevante di contenziosi tra operatori e distributori. Il documento di consultazione 332/2025 propone l’introduzione di due nuovi standard di qualità commerciale. Il primo stabilisce un limite massimo di taglio pari al 10% della produzione settimanale potenziale, oppure un numero massimo di distacchi settimanali. In caso di superamento di tali soglie, il distributore (Dso) dovrà adeguare la rete BT senza costi per il produttore, mentre in caso contrario il cliente sarà tenuto a corrispondere 150 euro per la verifica. Il secondo standard riguarda l’adeguamento delle reti BT nei tempi e modalità già previste per il ripristino del corretto valore di tensione, mantenendo un termine di 50 giorni lavorativi e indennizzi automatici pari a 40,25 euro. Questa iniziativa si inserisce nel più ampio contesto dell’aggiornamento della regolazione output-based per il biennio 2026-2027, avviato con Delibera 165/2023. Arera interviene su più fronti: dalla definizione delle interruzioni rilevanti, alla gestione dei cosiddetti “periodi di condizioni perturbate”, fino al monitoraggio della qualità della tensione tramite misuratori intelligenti (smart meter 2G), la cui disciplina vigente sarà confermata anche nel triennio 2026-2028 in assenza di criticità rilevanti. Non è invece prevista l’introduzione di nuovi meccanismi incentivanti, considerato che gli attuali strumenti – sia quelli legati alla regolazione output-based, sia quelli riferiti ad altri aspetti come le perdite di rete – risultano sufficienti allo stato. Tuttavia, l’Autorità apre alla possibilità di rivedere alcune componenti della regolazione benefit-based per interventi di sviluppo delle reti e alla valorizzazione della compensazione delle immissioni reattive, estendendo il periodo di incentivazione da 24 a 36 mesi. In un contesto europeo segnato da crescenti costi di congestione della rete e tagli alla produzione rinnovabile per carenza infrastrutturale (quasi 30 TWh distaccati nel 2023), l’iniziativa di Arera si pone come risposta concreta per garantire una maggiore equità e affidabilità del sistema elettrico italiano, soprattutto per i piccoli produttori in bassa tensione.

(Venerdì 18 luglio 2025, da www.quotidianoenergia.it)

A3. Aiuti di Stato e imprese in crisi: rinvio pregiudiziale del Tar Milano alla Corte di Giustizia UE nel caso Acciaierie d’Italia

Con Ordinanza il Tar Milano ha deciso di sollevare una questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, nell’ambito del ricorso proposto da Acciaierie d’Italia contro l’esclusione dall’elenco delle imprese a forte consumo energetico per il 2025. Il cuore della questione ruota attorno alla compatibilità tra la nozione europea di “impresa in difficoltà” e la disciplina nazionale dell’amministrazione straordinaria applicabile alle grandi imprese di interesse strategico. La controversia trae origine dal diniego, da parte della Csea, dell’ammissione della ex Ilva ai benefici previsti per le imprese energivore, giustificato dal fatto che la società si trovi in amministrazione straordinaria. Secondo la normativa europea – in particolare la Comunicazione 2022/C 80/01 sugli aiuti per la tutela dell’ambiente e dell’energia – gli aiuti non possono essere concessi ad imprese in difficoltà, definite come soggetti che, in assenza di interventi pubblici, sarebbero destinate al collasso economico nel breve o medio periodo. Tale esclusione, recepita anche nel diritto interno all’art. 3 del D.L. 131/2023, è stata assunta come fondamento per la decisione di revoca o diniego delle agevolazioni. Tuttavia, il Tar ha rilevato una possibile incongruenza tra la rigida interpretazione della nozione europea e la disciplina italiana sull’amministrazione straordinaria, che – come disposto dall’art. 2 del D.L. 347/2003 – non ha carattere liquidatorio, ma mira alla continuità aziendale, alla salvaguardia dell’occupazione e alla riconversione industriale. Il Tribunale ha richiamato altresì il disposto dell’art. 27 del D.Lgs. 270/1999, che prevede l’accesso alla procedura solo in presenza di concrete prospettive di riequilibrio economico, nonché l’art. 4, comma 4-sexies, dello stesso decreto-legge, che garantisce la conservazione di autorizzazioni e titoli abilitativi anche durante la procedura. La giurisprudenza amministrativa nazionale ha a sua volta affermato, da ultimo con la sentenza del Consiglio di Stato n. 5824/2024, che la funzione dell’amministrazione straordinaria è quella di superare la crisi dell’impresa mantenendone in vita l’attività economica. Proprio per questo motivo, il Tar dubita che il semplice stato di insolvenza e l’ammissione alla procedura speciale possano equivalere, tout court, a una condizione di difficoltà rilevante ai sensi del diritto UE sugli aiuti di Stato. Di qui il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, affinché si esprima sulla legittimità di una normativa nazionale – quale l’art. 3 del D.L. 131/2023 – che esclude dall’accesso ai benefici per le imprese energivore i soggetti in amministrazione straordinaria ai sensi dell’art. 2 del D.L. 347/2003. La questione è destinata ad avere un impatto che va ben oltre il caso della ex Ilva, coinvolgendo principi di sistema in materia di aiuti, continuità aziendale e finalità delle procedure concorsuali.

(Venerdì 18 luglio 2025, da www.quotidianoenergia.it)

A4. D.L. Infrastrutture convertito in legge: interventi normativi urgenti in materia di energia, trasporti e difesa

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 luglio 2025, n. 166 , il testo coordinato del decreto-legge 21 maggio 2025, n. 73, convertito con modificazioni dalla Legge 18 luglio 2025, n. 105. Il provvedimento, noto come “D.L. Infrastrutture”, assume una funzione strategica nel contesto della realizzazione di opere pubbliche e della gestione dei trasporti, collegandosi direttamente agli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e agli obblighi europei in materia di infrastrutture e trasporti. Tra gli interventi normativi di rilievo, il decreto-legge introduce all’art. 1-bis misure a sostegno della capacità nazionale di stoccaggio e rigassificazione del GNL. Si autorizza, infatti, una spesa pubblica complessiva di 35 milioni di euro distribuita tra il 2027 e il 2029, con particolare attenzione agli impianti localizzati nel settore marittimo. Questo intervento si inserisce nel più ampio disegno di rafforzamento della sicurezza energetica nazionale. Il decreto affronta anche il tema della difesa nazionale, prevedendo all’art. 3-septies una disciplina speciale e semplificata per la valutazione d’impatto ambientale (VIA) relativa a progetti destinati esclusivamente alla difesa. Tale disciplina si caratterizza per una contrazione dei tempi procedurali, confermando l’intento del legislatore di garantire celerità in un ambito ad alta sensibilità strategica. In ambito automobilistico, l’art. 5, comma 3-bis, proroga al 1° ottobre 2026 l’entrata in vigore delle restrizioni alla circolazione per veicoli diesel Euro 5, mantenendo tuttavia uno spazio per deroghe e compensazioni. Tale proroga risponde all’esigenza di contemperare gli obiettivi ambientali con la sostenibilità economico-sociale delle categorie interessate. Infine, il decreto rafforza il ruolo degli enti territoriali nel processo di transizione energetica. L’art. 13 impone a Regioni e Province autonome di approvare, entro il 21 febbraio 2026, un Piano di individuazione delle zone di accelerazione per le rinnovabili e gli impianti di accumulo elettrico, da sottoporre a valutazione ambientale strategica entro il 31 agosto 2025. Le aree industriali esistenti sono qualificate ope legis come zone di accelerazione, prevedendo l’attivazione di poteri sostitutivi statali in caso di inadempimento degli enti locali. Il testo, frutto di un articolato processo legislativo, esprime la volontà del legislatore di imprimere un’accelerazione agli investimenti strategici, anche a costo di introdurre discipline derogatorie rispetto ai regimi ordinari, in nome dell’efficienza e della coerenza con i vincoli europei e internazionali.

(Lunedì 21 luglio 2025, dalla Staffetta Quotidiana)

A5. Consob, evoluzione normativa e prassi applicativa nella rendicontazione non finanziaria delle società quotate

La Consob ha pubblicato il settimo rapporto sulla rendicontazione non finanziaria delle società italiane quotate, offrendo un quadro normativo e operativo sempre più articolato dell’integrazione dei fattori ESG nel governo societario. Sono 150 le società con azioni ordinarie negoziate su Euronext Milan che nel 2023 hanno pubblicato una dichiarazione non finanziaria (Dnf), tra cui sei su base volontaria. Queste realtà rappresentano oltre il 97% della capitalizzazione complessiva, segno di una crescente rilevanza delle tematiche ambientali, sociali e di governance nella comunicazione corporate. Il dato conferma un’evoluzione non solo di natura formale, ma anche sostanziale. L’integrazione dei temi ESG nei piani strategici risulta infatti in espansione: 40 delle 73 società che hanno pubblicato sintesi dei loro piani strategici per il 2023 vi hanno incluso almeno un riferimento alla sostenibilità, contro le 34 dell’anno precedente. A ciò si accompagna un maggior coinvolgimento degli stakeholder nella fase di aggiornamento dell’analisi di materialità, strumento chiave per individuare le priorità non finanziarie della rendicontazione. Il 73% delle società ha considerato il punto di vista degli stakeholder, in crescita rispetto agli anni precedenti, a fronte di una lieve flessione nel coinvolgimento dei vertici interni e dei top manager. Dal punto di vista della governance, il ruolo del consiglio di amministrazione si consolida: nel 72% dei casi il CdA è stato coinvolto nella validazione finale dell’analisi di materialità, raggiungendo il livello più alto mai registrato. Tra i temi maggiormente citati nelle Dnf figura il cambiamento climatico, anche attraverso l’esplicito riferimento agli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, con particolare rilievo all’SDG 13 (“Agire per il clima”). In quest’ottica, il rapporto contiene un addendum dedicato alle informazioni climatiche inserite nei bilanci 2024 delle società del Ftse Mib. Sebbene emerga un progressivo allineamento dell’informativa finanziaria agli effetti del cambiamento climatico e della transizione ecologica, la Consob sottolinea la necessità di migliorare l’identificazione e la coerenza dei dati “climate-related”, richiamando l’attenzione degli operatori con la Comunicazione n. 2/24. Anche sul versante retributivo si evidenzia un consolidamento dell’approccio ESG. Le società che hanno integrato nei sistemi di remunerazione dei vertici criteri non finanziari sono salite a 151 su 206. La componente variabile dei compensi legata a indicatori ESG ha raggiunto in media il 18,8% nel breve termine e il 20,6% nel lungo, con l’ambiente come asse portante: si citano tra gli altri le emissioni di CO2, l’economia circolare e le fonti rinnovabili. Il rapporto Consob conferma così un’evoluzione regolata, ma progressiva, del ruolo della sostenibilità nella vita delle società quotate italiane, sempre più coinvolte in un processo di accountability multilivello, destinato a consolidarsi con l’attuazione della normativa europea sulla rendicontazione di sostenibilità.

(Lunedì 21 luglio 2025, da www.quotidianoenergia.it)

A6. Fonti rinnovabili e pianificazione regionale: il Consiglio di Stato annulla i limiti del Lazio per eccesso di potere normativo

Il Consiglio di Stato ha dichiarato l’illegittimità della Delibera della Regione Lazio n. 171 del 2023, avente ad oggetto criteri restrittivi per l’autorizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, in particolare nel territorio della provincia di Viterbo. Il provvedimento regionale era stato adottato nell’ambito delle linee guida sull’eccessivo affollamento di impianti Fer, e aveva previsto, tra l’altro, un limite massimo del 50% dello sviluppo autorizzabile in ciascuna provincia rispetto al totale regionale espresso in MWp. Il Consiglio di Stato ha ritenuto che la Regione abbia esercitato un potere normativo in assenza di un’apposita abilitazione legislativa, introducendo vincoli generalizzati e astratti non previsti dalla normativa statale. Tali vincoli, oltre a compromettere il principio di proporzionalità, sono stati ritenuti non coerenti con il chiaro favor legislativo per lo sviluppo delle energie rinnovabili. Secondo i Giudici, spetta esclusivamente all’amministrazione procedente, nell’ambito del procedimento autorizzativo, compiere un bilanciamento puntuale e motivato degli interessi pubblici coinvolti, alla luce delle circostanze specifiche del caso concreto. La legittimità del diniego di un’autorizzazione non può fondarsi su criteri automatici o soglie quantitative imposte in via preventiva e astratta, ma richiede un’istruttoria adeguata e un confronto ragionato tra esigenze ambientali, paesaggistiche e il principio di promozione delle fonti energetiche rinnovabili. La decisione del Consiglio di Stato si colloca nel solco di una giurisprudenza sempre più attenta a garantire un corretto equilibrio tra le competenze regionali e i vincoli posti dal diritto nazionale ed europeo a tutela della transizione energetica, riaffermando il principio di legalità quale presidio imprescindibile nella definizione delle politiche territoriali in materia ambientale ed energetica.

(Martedì 22 luglio 2025, dalla Staffetta Quotidiana)

A7. Procedimenti VIA e progetti FER: il Consiglio di Stato fissa i principi sull’ordine di priorità e sulla perentorietà dei termini

Il Consiglio di Stato ha affrontato per la prima volta il significato applicativo dell’art. 8 del Codice dell’Ambiente, così come modificato dal decreto-legge n. 153/2024 (c.d. “D.L. Ambiente”), chiarendo il rapporto tra perentorietà dei termini procedimentali e rispetto dell’ordine di priorità dei progetti Pniec. Nel caso esaminato, relativo al progetto agrivoltaico “Solar Blooms” nel Comune di Civita Castellana, il Collegio ha ribaltato la sentenza del Tar Lazio che aveva accolto il ricorso della società proponente contro il silenzio mantenuto da Mase e Mic sull’istanza di valutazione d’impatto ambientale, richiedendo invece un bilanciamento tra l’interesse all’efficienza procedimentale e quello al rispetto delle priorità strategiche stabilite dal legislatore. Il Consiglio ha riconosciuto la perentorietà del termine per la conclusione del procedimento VIA, ma ha negato che questa possa giustificare una trattazione “fuori quota” dei progetti non prioritari rispetto all’ordine stabilito dalla disciplina vigente. La sentenza sottolinea come l’azione contro il silenzio inadempimento, pur legittima, non possa tradursi in una compressione degli interessi concorrenti di altri operatori che abbiano avviato iter su progetti aventi priorità maggiore. Per tale ragione, l’amministrazione è tenuta a definire la domanda entro un termine perentorio di 90 giorni, ma collocando il progetto all’interno della quota riservata ai progetti non prioritari. In tal modo, viene assicurata una tutela giurisdizionale effettiva senza alterare l’architettura normativa introdotta per governare il carico amministrativo nel settore. Il Consiglio ha inoltre ammonito il legislatore a riconsiderare la sostenibilità concreta dei termini procedimentali previsti, che – se privi di effettiva realizzabilità – rischiano di alimentare un contenzioso sistemico e di compromettere l’efficacia della pianificazione energetica nazionale. All’amministrazione, parallelamente, è stato rivolto l’invito ad adottare modelli organizzativi coerenti con le previsioni di legge, al fine di rendere effettivi gli obiettivi di semplificazione e accelerazione procedimentale. Infine, pur modulando gli effetti del giudicato secondo il principio di proporzionalità, il Collegio ha precisato che l’azione risarcitoria resta comunque percorribile, evidenziando come la valutazione dell’elemento soggettivo della colpa debba avvenire alla luce delle modalità organizzative adottate e del contesto normativo in continua evoluzione. Con questa pronuncia, il Consiglio di Stato ribadisce l’importanza di una gestione equilibrata tra l’effettività della tutela degli interessi legittimi pretensivi e il rispetto delle priorità funzionali alla transizione ecologica, indicando una rotta interpretativa destinata ad incidere profondamente sulla prassi applicativa in materia di VIA per i progetti FER.

(Mercoledì 23 luglio 2025, da www.quotidianoenergia.it)

A8. Aree idonee FER: la Valle d’Aosta approva la legge regionale, mentre le Regioni chiedono flessibilità normativa al MASE

La disciplina delle aree idonee all’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili continua a essere oggetto di intenso dibattito tra Stato e Regioni, sia sotto il profilo dell’attuazione normativa sia per gli effetti derivanti dal ritardo nell’adozione del decreto ministeriale previsto dall’art. 20 del D.Lgs. 199/2021. In questo contesto si inserisce la recente approvazione, da parte del Consiglio regionale della Valle d’Aosta, del disegno di legge che definisce i criteri per l’individuazione delle superfici regionali ritenute idonee, in conformità ai principi espressi dal Testo unico sulle FER (D.Lgs. 190/2024) e alla normativa di derivazione euro-unitaria. La legge regionale valdostana – composta da 19 articoli – si distingue per un’impostazione sistematica che, pur nel rispetto del riparto costituzionale di competenze, mira a rafforzare l’autonomia decisionale della Regione in assenza del decreto ministeriale attuativo. In particolare, vengono qualificate come idonee le superfici già esistenti, con priorità per fotovoltaico ed eolico nelle aree infrastrutturate o già occupate da impianti preesistenti. Per quest’ultimi, l’ampliamento è consentito nei limiti del 20% della superficie originariamente occupata. La legge prevede anche una clausola procedimentale in caso di sovrapposizione tra aree idonee e non, imponendo l’attivazione di una procedura ordinaria fondata sulla valutazione puntuale del progetto. Un ulteriore aspetto di rilievo riguarda la disciplina dell’idroelettrico, per la quale il legislatore regionale ha scelto di rinviare al Piano di tutela delle acque e alla normativa di recepimento della Direttiva 2000/60/CE, nonché a una futura deliberazione della Giunta, che dovrà definire lo specifico iter in autorizzazione unica per gli impianti idroelettrici. Parallelamente, a livello interregionale, alcune Regioni del Centro-Nord hanno sottoposto al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica una proposta volta a introdurre, anche con norma primaria, elementi di flessibilità che consentano la piena operatività delle Regioni in assenza del decreto statale, evitando, in particolare, che possano essere limitate le superfici già qualificate come idonee dal D.Lgs. 199/2021. La questione sarà oggetto di ulteriore approfondimento istituzionale nell’ambito delle audizioni parlamentari in corso, e in particolare nell’audizione del Ministro Pichetto Fratin prevista presso la Camera. In Umbria, intanto, prosegue l’iter del disegno di legge regionale in materia, sul quale si terranno a breve nuove audizioni presso la competente commissione consiliare, con la partecipazione di enti locali e stakeholder professionali. Il quadro che emerge conferma, ancora una volta, la tensione interpretativa e applicativa tra autonomia regionale e coordinamento statale in materia energetica, evidenziando la necessità di un assetto normativo armonizzato e rispettoso del principio di leale collaborazione.

(Giovedì 24 luglio 2025, da www.quotidianoenergia.it)

A9. FerX transitorio: l’Arera fissa a 77 €/MWh il prezzo di aggiudicazione per i piccoli impianti fotovoltaici e chiarisce i criteri di copertura degli incentivi

Con la Delibera n. 339/2025, l’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente (ARERA) ha definitivamente approvato i prezzi di aggiudicazione del meccanismo incentivante FerX transitorio per le diverse tecnologie alimentate da fonti rinnovabili, con particolare riguardo agli impianti fotovoltaici di potenza inferiore a 1 MW. Rispetto alla proposta iniziale formulata nel documento per la consultazione n. 239/2025, l’Arera ha innalzato il valore di riferimento per il fotovoltaico da 70 a 77 €/MWh, in ragione della rivalutazione dei costi variabili associati alla valorizzazione dell’energia autoconsumata. Tale rettifica è giustificata dalla riduzione cautelativa, da 60 a 40 €/MWh, delle stime relative ai servizi di rete e agli oneri generali di sistema, coerentemente con le previsioni di progressiva decrescita degli oneri negli anni a venire. A sostegno di questa valutazione, il Gestore dei servizi energetici (Gse) ha comunicato, con nota del 21 luglio 2025, i nuovi valori di LCOE per quattro classi dimensionali e tecnologiche, ponendo così un vincolo normativo all’azione regolatoria, ai sensi dell’art. 15 del decreto FerX transitorio. L’Autorità ha ritenuto di adottare un unico prezzo medio di aggiudicazione – fissato a 77 €/MWh – ricavato dalla media dei valori di costo riportati dal Gse. Tale determinazione consente di uniformare la remunerazione per i piccoli impianti, garantendo al contempo un accesso equilibrato agli incentivi, pur tenendo conto delle differenze strutturali tra impianti su copertura e a terra. Resta in capo al Gse l’obbligo di segnalare tempestivamente ad ARERA e al Mase eventuali discrepanze tra i dati di monitoraggio e i prezzi vigenti, al fine di preservare l’equilibrio del sistema di incentivazione. In termini di copertura finanziaria, la Delibera distingue  tra impianti beneficiari di tariffe premio a due vie – per i quali la compensazione avviene tramite oneri e proventi generati dall’applicazione delle medesime tariffe – e impianti ammessi alle tariffe fisse omnicomprensive, per i quali la differenza tra costi e ricavi viene coperta attraverso il “Conto per nuovi impianti alimentati da fonti rinnovabili e assimilate”, alimentato dalla componente tariffaria Asos. L’Autorità conferma, inoltre, le disposizioni già in vigore circa l’efficiente collocazione sul mercato dell’energia ritirata dal Gse. La nuova determinazione di prezzo, se da un lato risponde alle esigenze segnalate dagli operatori nel corso della consultazione pubblica, dall’altro consente di preservare un tasso di aggiudicazione ragionevole. Secondo le simulazioni richiamate nella stessa delibera, anche nell’ipotesi in cui i progetti di potenza superiore a 1 MW dovessero offrire al prezzo base di 70 €/MWh, si otterrebbe comunque l’assegnazione del 75% del contingente disponibile, segnale di una tenuta complessiva del sistema. In definitiva, l’Autorità ha operato un delicato bilanciamento tra esigenze di sostenibilità economica, certezza normativa e coerenza con gli obiettivi di sviluppo delle energie rinnovabili previsti dal FerX transitorio.

(Venerdì 25 luglio 2025, da www.quotidianoenergia.it)

A10. Fonti rinnovabili e limiti regionali: la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità del divieto assoluto della Calabria sugli impianti a biomasse nei parchi naturali

Con la sentenza relativa alla Legge regionale n. 36/2024 della Calabria, la Corte Costituzionale ha ribadito un principio fondamentale nella disciplina delle fonti rinnovabili: l’individuazione delle aree non idonee non può tradursi in un divieto assoluto e aprioristico alla realizzazione di impianti, nemmeno in contesti ambientali sensibili come i parchi nazionali o regionali. L’art. 14 della Legge calabrese, che vietava la costruzione di impianti a biomasse di potenza superiore a 10 MW termici in tali aree protette, è stato dichiarato incostituzionale per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. in materia di produzione, trasporto e distribuzione dell’energia. La Corte ha precisato che la competenza regionale ex art. 20 del D.Lgs. 199/2021 legittima sì l’individuazione di aree non idonee, ma ciò non può sfociare nell’imposizione di divieti generalizzati e non motivati. La non idoneità, come chiarito anche dal D.M. MASE 21 giugno 2024, assume rilievo procedimentale: comporta una valutazione rafforzata e una motivazione puntuale in sede amministrativa, ma non giustifica l’automatica esclusione a priori della localizzazione. Particolarmente rilevante è la censura accolta anche in relazione al comma 2 dello stesso art. 14, che prevedeva l’obbligo, per gli impianti già esistenti eccedenti i 10 MW, di ridurre la potenza entro sei mesi, a pena di decadenza del titolo autorizzativo. La Corte ha riconosciuto che tale previsione si configura come una legge-provvedimento, in quanto colpisce un’unica centrale – quella del Mercure – attualmente operativa nel parco del Pollino, e si risolve in un’ingerenza legislativa diretta su una posizione giuridica individuale, alterando l’equilibrio costituzionale tra poteri legislativo e amministrativo. Sul piano dei diritti fondamentali, la Consulta ha ritenuto fondate anche le censure per violazione degli artt. 3 e 41 Cost., rilevando come l’imposizione di un termine così ristretto incida in modo sproporzionato sull’iniziativa economica privata e sulle posizioni lavorative coinvolte, senza una adeguata giustificazione ambientale. Infine, la Corte ha colto l’occasione per precisare che il minor favor per gli impianti a biomasse, rispetto ad altre tecnologie rinnovabili, è coerente con le criticità ambientali segnalate nel PNIEC, in particolare per le emissioni e l’impatto del trasporto. Tuttavia, tale valutazione di merito non legittima l’introduzione di limiti assoluti da parte delle Regioni, che devono invece attenersi al quadro normativo nazionale e operare, nel rispetto del principio di leale collaborazione, entro i confini tracciati dal legislatore statale. Questa pronuncia si pone in continuità con il consolidato orientamento della Corte Costituzionale volto a garantire un equilibrio tra autonomia regionale, tutela dell’ambiente e sviluppo ordinato delle fonti rinnovabili, evitando che scelte normative locali possano compromettere l’attuazione degli obiettivi strategici nazionali in materia energetica.

(Lunedì 28 luglio 2025, da www.quotidianoenergia.it)

B. Varie

B1. Edilizia

Agibilità edilizia e conformità urbanistica: il TAR Sicilia ribadisce il limite del potere amministrativo in autotutela

Con la sentenza n. 1492 del 3 luglio 2025, la Sezione III del TAR Sicilia ha fornito una rilevante precisazione in ordine ai presupposti di legittimità del certificato di agibilità, riaffermando la centralità del principio di conformità al titolo edilizio. Il giudice amministrativo ha stabilito che il rilascio dell’agibilità non può fondarsi unicamente sulla sussistenza di requisiti igienico-sanitari, ma deve necessariamente presupporre la verifica della corrispondenza dell’opera realizzata al titolo edilizio assentito e alla disciplina urbanistico-edilizia vigente. La pronuncia si inserisce nel solco di un orientamento consolidato, richiamando in particolare la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. II, sent. n. 7611/2024), secondo cui un fabbricato privo di conformità urbanistica non può essere legittimamente destinato ad alcun uso, essendo potenzialmente lesivo degli interessi pubblici sottesi alla normativa edilizia, tra cui rientrano la tutela del territorio, la sicurezza e l’interesse generale al corretto governo del suolo. Tuttavia, il TAR ha anche ribadito un importante limite al potere amministrativo in sede di autotutela: la verifica della legittimità dell’agibilità non può sfociare in una valutazione ex post della legittimità del titolo edilizio presupposto, laddove lo stesso risulti ormai inoppugnabile. In tale ipotesi, il principio di stabilità dei rapporti giuridici e quello di intangibilità degli atti amministrativi consolidati precludono ogni sindacato retroattivo sulla validità formale e sostanziale del titolo originario. Ne deriva che l’amministrazione, nel procedimento volto al rilascio o alla revoca dell’agibilità, è tenuta a limitarsi alla verifica della conformità tra quanto edificato e quanto assentito, senza poter rimettere in discussione titoli edilizi divenuti definitivi. La sentenza, confermando il rigetto del ricorso proposto, consolida così un delicato equilibrio tra le esigenze di legalità urbanistica e il rispetto dei principi di certezza del diritto e tutela del legittimo affidamento.

(Lunedì 21 luglio 2025, dal “Quotidiano Giuridico”)

B2. Edilizia

Interesse a ricorrere e impugnabilità del titolo edilizio: la perdita di visuale panoramica può integrare un pregiudizio giuridicamente rilevante solo se serio e comprovato

Con la sentenza n. 5423 del 23 giugno 2025, la Sezione II del Consiglio di Stato ha chiarito importanti profili in tema di impugnabilità dei titoli edilizi da parte di terzi, affrontando il tema del pregiudizio derivante dalla perdita di visuale panoramica. La decisione ha confermato che, pur non essendo la visuale un bene giuridico tutelato in via autonoma, essa può tuttavia concorrere a fondare l’interesse a ricorrere quando la compromissione dell’affaccio incide in modo effettivo e rilevante sulla fruibilità e sul valore economico dell’immobile del ricorrente. Il Collegio ha ribadito che la legittimazione al ricorso contro titoli edilizi altrui non si esaurisce nella vicinitas, né richiede necessariamente la lesione di un diritto reale civilisticamente tutelato, potendo fondarsi anche su un pregiudizio concreto a beni di natura urbanistica o ambientale. Tuttavia, affinché si configuri un interesse legittimo ad agire, è necessario che il pregiudizio dedotto sia serio, attuale e supportato da elementi oggettivi. Nel caso specifico, la perdita parziale della veduta, limitata a un dettaglio marginale di un’insenatura lacustre, non è stata ritenuta sufficiente a comprovare una diminuzione apprezzabile del valore dell’immobile né una lesione qualificata dell’interesse tutelato, anche per la genericità e inidoneità della documentazione prodotta. La sentenza affronta inoltre il tema della legittimità dei controlli edilizi postumi e della corretta qualificazione del potere di verifica nei procedimenti attivati a seguito di SCIA. In proposito, il Consiglio ha evidenziato che l’art. 19, comma 4, della Legge 241/1990 configura un procedimento autonomo, distinto dall’autotutela ex art. 21-nonies, connotato da un obbligo dell’amministrazione di adottare comunque un provvedimento conclusivo, espresso e motivato, ogniqualvolta ricorrano i presupposti per l’esercizio del potere repressivo o conformativo. Tale obbligo discende anche dalla necessità di garantire un’effettiva tutela giurisdizionale del terzo ai sensi degli artt. 24 e 113 Cost., considerato che l’ordinamento consente unicamente il ricorso avverso il silenzio inadempimento come rimedio alla mancata attivazione del controllo amministrativo. Quanto alla misurazione delle altezze edilizie, la pronuncia ribadisce la necessità di ancorare i parametri costruttivi a dati certi e oggettivi, quali il piano naturale di campagna, escludendo la possibilità di riferirsi a quote artificialmente alterate mediante sistemazioni del terreno non previste da specifiche norme regolamentari. La decisione del Consiglio di Stato delimita con rigore i confini dell’interesse a ricorrere in materia edilizia, richiedendo un’effettiva dimostrazione del pregiudizio dedotto, e rafforza la funzione doverosa del controllo pubblico sugli interventi edilizi, anche quando attivati mediante procedimenti semplificati come la SCIA.

(Martedì 22 luglio 2025, dal “Quotidiano Giuridico”)

B3. Contrattualistica

Compravendita immobiliare e certificato di abitabilità: la Cassazione esclude l’inadempimento del venditore in caso di rilascio postumo

Con l’Ordinanza n. 19923 del 17 luglio 2025, la II Sez. Civile della Corte di Cassazione ha ribadito un principio consolidato in materia di compravendita immobiliare, affermando che la mancata consegna del certificato di abitabilità al momento della stipula del contratto non costituisce, di per sé, un inadempimento del venditore, purché tale certificazione sia stata successivamente rilasciata. La pronuncia esclude, in tal caso, la configurabilità della fattispecie di vendita di aliud pro alio e, conseguentemente, l’azionabilità della risoluzione contrattuale o del risarcimento in assenza di specifica prova del danno. La controversia originava da un contratto di vendita stipulato nel 2013, cui aveva fatto seguito la scoperta, da parte della compratrice, dell’assenza del certificato di abitabilità e di alcune difformità edilizie. Dopo alterne vicende processuali, la Corte d’Appello di Milano aveva escluso la fondatezza delle domande risarcitorie, ritenendo che il successivo rilascio del certificato, avvenuto nel 2014, avesse sanato la situazione e neutralizzato l’asserito pregiudizio da non commerciabilità dell’immobile. Le censure sollevate in cassazione sono state ritenute infondate. Richiamando la propria giurisprudenza, la Suprema Corte ha riaffermato che l’abitabilità è elemento rilevante ai fini della normale commerciabilità del bene, ma la sua assenza non produce effetti risolutivi se viene successivamente sanata in modo regolare e tempestivo. In particolare, non si ravvisa un’alterazione dell’oggetto del contratto tale da integrare l’ipotesi di aliud pro alio, qualora l’immobile sia idoneo all’uso pattuito e l’eventuale difformità non abbia inciso in modo sostanziale sulla sua funzionalità o sul valore. Quanto al danno risarcibile, la Corte ha precisato che non può fondarsi su una mera presunzione, ma deve essere puntualmente allegato e dimostrato, anche attraverso elementi oggettivi come la documentazione sul deprezzamento patrimoniale del bene o i costi sostenuti per l’ottenimento del certificato. In assenza di tale prova, la domanda risarcitoria risulta infondata. La Cassazione conferma l’orientamento secondo cui la commerciabilità dell’immobile non è pregiudicata dalla mancanza formale dell’agibilità, purché vi sia una successiva regolarizzazione e il bene sia in concreto conforme alla destinazione d’uso contrattualmente prevista, consolidando così il principio di conservazione degli atti giuridici e di favor per la stabilità dei rapporti contrattuali.

(Mercoledì 23 luglio 2025, dal “Quotidiano Giuridico”)

B4. Contratti bancari

Anatocismo e contratti bancari anteriori al 2000: la capitalizzazione trimestrale degli interessi è nulla in assenza di accordo espresso

Con la sentenza n. 2783 del 3 giugno 2025, la Corte d’Appello di Napoli ha confermato l’invalidità della capitalizzazione trimestrale degli interessi nei contratti di conto corrente stipulati prima dell’entrata in vigore della Delibera CICR del 9 febbraio 2000, qualora non sia stata stipulata una pattuizione espressa tra le parti. La decisione si inserisce nel solco di una giurisprudenza oramai consolidata che tutela il correntista contro l’applicazione unilaterale di clausole anatocistiche prive di fondamento negoziale, rafforzando il principio della necessaria bilateralità delle condizioni contrattuali in ambito bancario. Nel caso in esame, la Corte ha respinto l’appello proposto dall’intermediario finanziario, confermando integralmente la decisione di primo grado che, in assenza di accordo scritto tra banca e cliente, aveva escluso ogni forma di capitalizzazione degli interessi, sia per il periodo anteriore che per quello successivo alla Delibera CICR. In particolare, i giudici hanno chiarito che, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 25, comma 3, del D.Lgs. 342/1999 da parte della Corte Costituzionale (sent. n. 425/2000), le clausole anatocistiche contenute nei contratti preesistenti risultano radicalmente nulle e non sanabili con modifiche unilaterali. La sentenza precisa che anche nel periodo successivo alla Delibera CICR, l’adeguamento dei contratti in essere era subordinato a specifiche modalità: in caso di peggioramento delle condizioni per il cliente, era richiesto un accordo espresso, mentre per modifiche migliorative era ammessa la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale con successiva informativa al cliente. L’assenza, nel caso di specie, di una chiara accettazione contrattuale ha quindi comportato l’invalidità delle clausole di capitalizzazione applicate, con conseguente rideterminazione del saldo in favore del correntista. Quanto alla documentazione incompleta degli estratti conto, la Corte ha ribadito che, pur gravando sul cliente l’onere probatorio della ripetizione dell’indebito, tale lacunosità non impedisce al giudice di procedere alla ricostruzione del rapporto contabile a partire dal primo saldo disponibile, anche mediante consulenza tecnica e ordini di esibizione. Si conferma così l’indirizzo secondo cui il difetto di continuità documentale non costituisce causa di inammissibilità della domanda, ma elemento valutabile in sede istruttoria. La decisione si colloca nel solco delle pronunce della Cassazione (ex multis sent. n. 9140/2020 e ord. n. 12487/2025) e conferma l’orientamento secondo cui ogni forma di anatocismo, in mancanza di espressa pattuizione, viola il principio di trasparenza contrattuale, compromettendo l’equilibrio sinallagmatico del rapporto e giustificando il ricalcolo del dare-avere. La sentenza consolida, infine, un presidio giurisdizionale essenziale a garanzia dei diritti dei consumatori nei rapporti bancari anteriori alla riforma del 2000.

(Lunedì 28 luglio 2025, dal “Quotidiano Giuridico”)

B5. Fideiussioni

Fideiussione e consumatore: la clausola “a semplice richiesta” non elide l’onere di agire entro sei mesi

Con la sentenza n. 580 del 10 giugno 2025, il Tribunale di Ferrara ha affermato un principio di particolare rilevanza sistematica in tema di fideiussione prestata da consumatore, stabilendo che la clausola di pagamento “a semplice richiesta scritta” non è idonea a escludere l’applicazione dell’art. 1957 c.c., il quale impone al creditore l’onere di proporre azione giudiziale entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale. La clausola è stata ritenuta nulla per vessatorietà ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. t), del Codice del Consumo, in quanto comporta una significativa limitazione del diritto del garante a sollevare eccezioni, in particolare quella di decadenza. Nel caso di specie, la fideiussione, sottoscritta nel 2003, conteneva sia una clausola di deroga espressa all’art. 1957 c.c., sia una previsione di pagamento immediato su semplice richiesta della banca. Il Tribunale ha dichiarato la nullità di entrambe le clausole: la prima, in quanto vessatoria per mancata trattativa individuale; la seconda, perché idonea a comprimere in modo rilevante la posizione del garante-consumatore, ostacolandone la possibilità di eccepire l’estinzione della garanzia per l’inerzia del creditore. La decisione si pone in consapevole contrasto con l’orientamento giurisprudenziale maggioritario che attribuisce alla clausola “a prima richiesta” il valore di deroga implicita all’onere giudiziale semestrale, ritenendo sufficiente una richiesta stragiudiziale per conservare la garanzia. Il Tribunale ferrarese, aderendo a un indirizzo minoritario ma crescente, ha invece valorizzato la ratio protettiva della normativa consumeristica, richiamando anche la pronuncia della Cassazione n. 5423/2022, che ammette la potenziale vessatorietà di simili pattuizioni persino nei contratti autonomi di garanzia. Sul piano interpretativo, il giudice ha inoltre richiamato il canone dell’art. 35 del Codice del Consumo, imponendo, in caso di dubbio, l’interpretazione più favorevole al consumatore, e ha ritenuto che, anche qualora non si volesse dichiarare la nullità della clausola, non potrebbe da essa desumersi un effetto derogatorio all’art. 1957 c.c. senza un espresso accordo sul punto. La sentenza rappresenta un ulteriore tassello nel consolidamento dell’approccio garantista in favore del fideiussore-persona fisica e sollecita, in assenza di un intervento delle Sezioni Unite, una rilettura della disciplina contrattuale in chiave costituzionalmente orientata, idonea a bilanciare l’autonomia negoziale con la protezione delle parti contraenti più deboli.

(Martedì 29 luglio 2025, dal “Quotidiano Giuridico”)

Si comunica che, in occasione dell’interruzione estiva delle attività, la rassegna stampa sarà sospesa. La regolare pubblicazione riprenderà a decorrere da venerdì 5 settembre.