A1. Delibera ARERA 385/2025/R/EEL: criticità applicative e proposte di adeguamento graduale
La Delibera ARERA 385/2025/R/EEL introduce l’obbligo, per tutti gli impianti fotovoltaici ed eolici di potenza pari o superiore a 100 kW connessi in media tensione, di adottare un Controllore Centrale di Impianto (CCI) con funzione PF2, ossia la limitazione della potenza su comando del distributore. L’obbligo si applica immediatamente ai nuovi impianti, mentre per quelli esistenti sono state fissate scadenze differenziate tra febbraio 2026 e marzo 2027, a seconda della taglia. Il provvedimento prevede contributi economici decrescenti, fino all’azzeramento, e sanzioni che includono la sospensione degli incentivi, la mancata valorizzazione dell’energia immessa in rete e, nei casi estremi, la disconnessione. Le principali criticità riguardano la compatibilità tecnica degli impianti pre-2015, i cui inverter non risultano modulabili e che richiederebbero interventi di revamping quasi totali, con costi stimati di decine di migliaia di euro per impianti di medie dimensioni. I contributi previsti da ARERA, compresi tra 7.500 e 10.000 euro, risultano del tutto inadeguati rispetto all’entità degli investimenti necessari. A ciò si aggiungono tempistiche stringenti, difficilmente sostenibili dalla filiera industriale, e lacune normative, come la mancanza di specifiche CEI per i CCI semplificati destinati agli impianti sotto i 500 kW. La delibera rischia inoltre di compromettere il settore della rigenerazione degli inverter obsoleti, una filiera che ha assunto un ruolo importante in termini di sostenibilità circolare e occupazione. Un ulteriore nodo riguarda il ruolo dei distributori (DSO), cui spetterebbe l’onere di rendere operativi i CCI, portando la fibra ottica presso ogni punto di consegna, creando portali dedicati per la gestione dei contributi ed effettuando verifiche sugli impianti. L’insieme di tali adempimenti appare di difficile attuazione nei tempi stabiliti, tenuto conto che a livello nazionale sono coinvolti oltre 15.000 impianti, pari a circa 9 GW di potenza installata. Dalla filiera arrivano quindi alcune proposte correttive: un adeguamento graduale che privilegi gli impianti più recenti e già predisposti, l’introduzione di soluzioni alternative per i sistemi non modulabili basate sul teledistacco tramite CCI sugli interruttori generali, una rimodulazione dei contributi più proporzionata ai costi reali e l’adozione di misure ponte immediate, come la messa in funzione dei modem GSM già previsti dalla Delibera 421/2014. L’obiettivo dichiarato è garantire la sicurezza del sistema elettrico senza compromettere la stabilità economica delle imprese né disperdere le competenze maturate nel settore della manutenzione e rigenerazione degli inverter. Un’applicazione graduale e differenziata della Delibera 385/2025 consentirebbe di contemperare esigenze di affidabilità della rete, tutela degli investimenti e salvaguardia di un comparto produttivo cruciale per la transizione energetica.
A2. Zone di accelerazione per le rinnovabili: in Toscana si consolida l’attività amministrativa vincolata in attuazione del D.Lgs. 190/2024
La Regione Toscana ha recentemente avviato l’iter di approvazione del Piano di individuazione delle zone di accelerazione terrestri per impianti alimentati da fonti rinnovabili e per lo stoccaggio dell’energia elettrica. Tale iniziativa si colloca nel contesto applicativo del D.Lgs. 190/2024, che impone alle Regioni l’individuazione entro il 21 febbraio 2026 delle aree idonee a una semplificazione procedurale in materia di autorizzazioni ambientali. La fase attuale riguarda la sottoposizione del piano a valutazione ambientale strategica (VAS), che dovrà concludersi entro il 31 agosto 2025. L’assessore regionale alla Transizione ecologica, Monia Monni, ha chiarito che le aree individuate coincidono con le “zone a idoneità assoluta” già delineate nella proposta di legge regionale del dicembre 2024, sulla quale si è sviluppato un percorso congiunto tra Giunta e Consiglio regionale. Questa scelta, fondata su una presunta maggiore compatibilità territoriale ed economica, pone questioni rilevanti sotto il profilo dell’esercizio del potere amministrativo in regime di legalità vincolata, soprattutto considerando che il procedimento si svolge in assenza di un quadro nazionale definitivo, dopo l’annullamento parziale del D.M. MASE del giugno 2024 da parte del TAR Lazio. Inoltre, pur essendo suscettibili di modifiche all’esito del procedimento di VAS e del confronto con i portatori di interesse, le zone individuate sono già state oggetto di valutazioni di merito da parte degli organi politici, suscitando critiche in seno al Consiglio regionale. In particolare, l’opposizione ha evidenziato come tale impostazione limiti la possibilità di esercitare una funzione di indirizzo politico su scelte che incidono profondamente sull’assetto del territorio. Sotto il profilo strettamente giuridico-istituzionale, merita attenzione la previsione contenuta nel piano regionale secondo cui l’iter di approvazione potrà proseguire anche in regime di ordinaria amministrazione o di prorogatio degli organi regionali. Tale affermazione si fonda sul carattere vincolato dell’adempimento richiesto dalla normativa statale e richiama l’applicazione dell’art. 120 Cost., in relazione all’eventuale esercizio del potere sostitutivo statale in caso di inerzia regionale. Resta dunque centrale la necessità di garantire la continuità dell’azione amministrativa, pur in presenza di un passaggio elettorale, assicurando il rispetto delle scadenze e dei principi di legalità, efficienza e collaborazione tra livelli di governo.
(1 agosto 2025, da www.quotidianoenergia.it)
A3. Conto Termico 3.0: intesa raggiunta in Conferenza Unificata, verso un nuovo assetto degli incentivi energetici
Con l’intesa raggiunta in sede di Conferenza Unificata, il decreto denominato “Conto Termico 3.0” segna un’importante evoluzione nella disciplina degli incentivi per interventi di piccola taglia volti a migliorare l’efficienza energetica e a promuovere la produzione di energia termica da fonti rinnovabili. Il provvedimento mira ad ampliare la portata soggettiva e oggettiva delle misure incentivanti, introducendo elementi di novità sia in termini di accessibilità sia sul piano operativo. Secondo quanto dichiarato dalla rappresentante del MASE, il nuovo schema prevede una disponibilità finanziaria pari a 900 milioni di euro annui, con un’intensità di incentivo che può variare dal 65% fino al 100% delle spese ammissibili, a seconda delle caratteristiche del beneficiario e della tipologia dell’intervento. La platea degli aventi diritto è estesa rispetto al passato e comprende, oltre alle pubbliche amministrazioni, anche enti del terzo settore, consorzi, autorità portuali e società in-house. Le spese incentivabili riguardano interventi quali isolamento termico, installazione di pompe di calore, impianti solari termici e infrastrutture per la mobilità elettrica. L’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (Anci), che ha espresso parere favorevole allo schema, ha tuttavia invitato il Governo a garantire la tenuta delle risorse destinate al comparto pubblico. Ha inoltre chiesto di prevedere meccanismi che consentano ai Comuni di accedere al plafond privato, in caso di esaurimento delle risorse pubbliche, sottolineando il potenziale attrattivo del nuovo impianto normativo a seguito dei miglioramenti introdotti rispetto al decreto precedente. Il testo normativo consta di 31 articoli, oltre agli allegati, e stabilisce, tra le altre cose, un limite di spesa annuo cumulato pari a 900 milioni di euro. Tali limiti si applicano sia nel caso di accesso diretto agli incentivi da parte dei soggetti ammessi – pubblici e privati – sia qualora gli stessi si avvalgano di soggetti terzi, come le Esco o altri operatori abilitati. Il decreto dettaglia con precisione le spese ammissibili, le tipologie di intervento incentivate e le modalità di accesso, anche attraverso le comunità energetiche rinnovabili e le configurazioni di autoconsumo collettivo. Una delle innovazioni più rilevanti riguarda l’ampliamento del perimetro degli immobili incentivabili. Gli interventi di efficienza energetica, in precedenza limitati al patrimonio edilizio pubblico, sono ora estesi anche agli edifici non residenziali privati. L’incentivo massimo, fissato ordinariamente al 65% delle spese sostenute, può raggiungere il 100% per interventi realizzati su scuole, ospedali, strutture sanitarie pubbliche e immobili di Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti. Infine, il decreto prevede che entro sessanta giorni dalla sua entrata in vigore, l’ARERA, su proposta del Gse, provveda all’aggiornamento del contratto-tipo. Il Gestore dei Servizi Energetici rimane l’organismo incaricato dell’attuazione e della gestione operativa del meccanismo incentivante.
(Martedì 5 agosto 2025, da www.quotidianoenergia.it)
A4. Permitting per le rinnovabili: la Camera traccia il quadro normativo nazionale
La Camera dei Deputati ha pubblicato un dettagliato dossier intitolato “La normativa statale per la produzione di energia da fonti rinnovabili”, con l’obiettivo di fornire un quadro aggiornato delle procedure autorizzative vigenti in materia di impianti a fonti rinnovabili e di sistemi di accumulo. Il documento rappresenta un compendio delle norme primarie e secondarie che disciplinano il settore, con particolare attenzione agli aggiornamenti intervenuti tra il 2024 e il 2025. Il dossier offre una ricognizione sistematica delle diverse fonti normative, illustrando l’evoluzione della disciplina autorizzativa e abilitativa, attraverso l’analisi delle procedure applicabili alle differenti tipologie di impianti – dall’eolico al fotovoltaico, passando per biomasse, biogas, impianti idroelettrici e geotermoelettrici – fino a includere un focus specifico sul regime autorizzatorio degli impianti di accumulo. Viene dato particolare rilievo al D.Lgs. 190/2024 che ha sistematizzato le principali procedure autorizzative in tre modalità: attività libera, procedura abilitativa semplificata e autorizzazione unica. Il dossier si sofferma su ciascuna di esse, offrendo schemi e diagrammi esplicativi dei passaggi procedurali, sebbene non contenga un approfondimento specifico sulle autorizzazioni relative a generatori e pompe di calore. Un ulteriore aggiornamento normativo è stato introdotto con la Legge n. 105 del 18 luglio 2025, di conversione del decreto-legge Infrastrutture n. 73/2025, che ha modificato il Testo Unico Fer in materia di zone di accelerazione. Tali zone includono ora le superfici industriali e sono destinate a diventare un elemento centrale della pianificazione regionale, in vista della scadenza del 21 febbraio 2026, termine entro il quale le Regioni dovranno adottare i propri piani di individuazione. Alcune Regioni, come la Toscana, hanno già avviato formalmente il percorso di adozione. Permane tuttavia aperto il capitolo relativo alle aree idonee, ancora privo di un quadro definitivo, soprattutto alla luce della sentenza del TAR Lazio che ha annullato in parte il decreto ministeriale del 21 giugno 2024. Il dossier menziona tale decisione, ma non entra nel merito dei lavori in corso presso il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica per un possibile riassetto della disciplina, che potrebbe avvenire tramite la riscrittura di disposizioni primarie o con l’introduzione di criteri di flessibilità proposti da alcune Regioni, in particolare del Centro-Nord. Oltre alla trattazione sul permitting, è stato diffuso un secondo documento che fa il punto sullo stato delle procedure di infrazione pendenti nei confronti dell’Italia. Al 25 luglio 2025, risultano aperte 68 procedure, di cui 54 per violazione del diritto dell’Unione e 14 per mancato recepimento di direttive entro i termini. Il settore ambientale rappresenta il campo con il maggior numero di procedimenti aperti, mentre il comparto energia registra cinque casi. Dal confronto con gli altri Stati membri emerge che l’Italia occupa la ventesima posizione nella graduatoria europea, con una media di infrazioni leggermente superiore a quella dei Paesi dell’Unione, attestata intorno a 56 casi per Stato.
A5. Revisione delle autorizzazioni paesaggistiche: il disegno di legge delega all’esame dell’Aula
Le Commissioni riunite Cultura e Ambiente del Senato hanno licenziato il Ddl delega in materia di autorizzazioni paesaggistiche, che sarà discusso dall’Aula dopo la pausa estiva. Il provvedimento giunge in una versione significativamente emendata rispetto al testo originario, con una riduzione dell’impatto sulle competenze delle Soprintendenze e un rafforzamento del ruolo degli enti territoriali. L’articolato approvato sopprime l’originario art. 2, che prevedeva modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004), tra cui la trasformazione del parere delle Soprintendenze da vincolante a obbligatorio ma non determinante in relazione a specifiche tipologie di lavori. La scelta operata dal legislatore delegante si orienta piuttosto verso una delega al Governo per l’adozione, entro un anno dall’entrata in vigore della legge, di uno o più decreti legislativi diretti ad assicurare un coordinamento sistematico tra il Codice (D.Lgs. 42/2004) e il Testo unico dell’edilizia (D.P.R. 380/2001). Sul piano applicativo, rilievo centrale assume la previsione secondo cui gli interventi di lieve entità di cui all’Allegato B del D.P.R. 31/2017 – quali l’installazione di pannelli solari a servizio di singoli edifici e le opere per l’efficientamento energetico – sono sottratti alla verifica della Soprintendenza e ricondotti alla competenza degli enti territoriali, condizionata al rispetto degli strumenti urbanistici vigenti. Diversamente, per le autorizzazioni paesaggistiche concernenti infrastrutture strategiche e opere di interesse nazionale la competenza è attribuita alla direzione generale del Ministero della Cultura. Il procedimento di adozione dei decreti legislativi contempla la proposta del Ministro della Cultura, di concerto con l’autorità politica per la ricostruzione per i profili di rispettiva competenza, previo parere della Conferenza Unificata entro trenta giorni dalla trasmissione degli schemi normativi. Decorso inutilmente tale termine, il Governo può comunque procedere, fermo restando l’invio dei testi alle competenti Commissioni parlamentari per l’espressione dei pareri. Il Ddl delinea, pertanto, un nuovo assetto normativo finalizzato a razionalizzare la disciplina autorizzatoria in materia paesaggistica, nel segno di una semplificazione procedurale e di un riequilibrio tra tutela paesaggistica, prerogative statali e attribuzioni degli enti territoriali.
(Mercoledì 6 agosto 2025, da www.quotidianoenergia.it)
A6. Aree idonee Fer: l’Abruzzo interviene sul regime semplificato
Con la Legge regionale n. 22 del 1° agosto 2024, la Regione Abruzzo ha introdotto modifiche alla propria disciplina sulle aree idonee per gli impianti a fonti rinnovabili (Legge regionale n. 8/2024). L’intervento normativo incide in particolare sull’art. 4, ridefinendo l’ambito di applicazione delle procedure autorizzative semplificate. La novità principale consiste nell’esclusione del regime semplificato per i progetti localizzati in aree classificate come “non idonee”. Tale esclusione opera anche per le infrastrutture connesse, determinando l’applicazione delle procedure ordinarie previste dal Testo Unico Rinnovabili (D.Lgs. 190/2024). Ne consegue che non trovano applicazione le semplificazioni di cui all’art. 22 del D.Lgs. 199/2021. Particolare attenzione è stata dedicata all’ipotesi di sovrapposizione territoriale: se un progetto insiste su aree qualificate contemporaneamente come idonee e non idonee, prevale il regime autorizzativo ordinario. La legge precisa, inoltre, che il criterio di prevalenza dell’idoneità non può essere invocato quando l’inidoneità derivi da disposizioni statali o dell’Unione europea, consolidando così il principio di gerarchia delle fonti. Oltre a queste modifiche di maggiore rilievo, il legislatore regionale ha apportato ulteriori ritocchi all’art. 2 della legge di marzo, di natura più tecnica. L’Abruzzo, tra le prime Regioni ad adottare una disciplina in materia di aree idonee dopo Sardegna e Friuli Venezia Giulia, si colloca in un quadro normativo in evoluzione, in attesa sia della revisione ministeriale del decreto del 21 giugno 2024 sia delle pronunce del Consiglio di Stato sui ricorsi pendenti. Parallelamente, alcune Regioni del Centro-Nord hanno sollecitato il Mase ad introdurre criteri di flessibilità, consentendo scelte territoriali anche in assenza del decreto nazionale. Il provvedimento abruzzese conferma quindi l’attenzione delle Regioni verso un tema centrale per lo sviluppo delle rinnovabili, ma evidenzia al contempo la necessità di un coordinamento statale, volto ad assicurare uniformità applicativa ed evitare conflitti interpretativi con la normativa europea e nazionale di rango superiore.
(Giovedì 7 agosto 2025, da www.quotidianoenergia.it)
A7. Sardegna, “zone di accelerazione” FER: piano regionale pro-fotovoltaico tra idoneità, VAS e cornice statale
La Regione Sardegna ha adottato la proposta di Piano per l’individuazione delle zone di accelerazione terrestri ai sensi del D.Lgs. 190/2024 (c.d. Testo unico rinnovabili), come modificato dal D.L. 73/2025, convertito in L. 105/2025. L’impostazione privilegia il fotovoltaico, connesso a sistemi di accumulo, escludendo le altre tecnologie FER poiché le semplificazioni proprie delle “accelerate” non sono ritenute compatibili con impianti che richiedono valutazioni localizzative e impatti ambientali e paesaggistici più articolati. Le aree “accelerate” coincidono con compendi a vocazione industriale e superfici artificiali: perimetri industriali individuati dal GSE e, in integrazione, zone D, PIP e ZIZ non ricomprese nella mappatura statale, nonché coperture edilizie e parcheggi; restano escluse le aree sottoposte a qualunque forma di tutela. Il Piano si innesta sulla Legge regionale n. 20/2024 in tema di aree idonee FER, attualmente impugnata dal Governo, con prima udienza dinanzi alla Corte Costituzionale fissata per il 7 ottobre. In tale contesto la Regione ha predisposto elaborati cartografici comprensivi delle correzioni alla mappatura GSE ai sensi dell’art. 12, comma 7-bis, D.Lgs. 190/2024 e, in assenza di dati puntuali, ha proceduto alla tipizzazione degli areali. È espressamente prevista la possibilità di ampliare o restringere il perimetro delle superfici accelerate all’esito della Valutazione ambientale strategica e del confronto con i portatori di interesse, secondo una procedura che contempla consultazione pubblica, incontri dedicati e recepimento motivato delle osservazioni. Sul piano procedimentale, il documento riprende la tripartizione del Testo unico tra attività libera, PAS e autorizzazione unica, con l’obiettivo di incanalare gli interventi FV in siti già antropizzati e coerenti con gli incentivi vigenti. Dopo la deliberazione di Giunta del 28 agosto, l’iter prevede la trasmissione al Consiglio regionale e l’assoggettamento a VAS. Il calendario nazionale fissa due scadenze: presentazione delle proposte alla VAS entro il 31 agosto e approvazione dei Piani regionali di accelerazione entro il 21 febbraio 2026. La Regione richiama infine la necessità di misure di mitigazione idonee a prevenire o ridurre gli impatti, ribadendo una governance territoriale improntata alla tutela del paesaggio e alla partecipazione informata delle comunità locali.
(Venerdì 29 agosto 2025, da www.quotidianoenergia.it)
A8. Progetti FER prioritari e termini VIA: il TAR Sardegna impone l’azione alla Commissione PNRR/PNIEC, in attesa dell’assestamento all’orientamento del CdS
Fatica ancora a sedimentarsi, nella prassi amministrativa, il recente indirizzo del Consiglio di Stato in tema di selezione dei progetti rinnovabili “prioritari” ai fini del conseguimento degli obiettivi del PNIEC. Con sentenza pubblicata il 29 agosto, il TAR Sardegna ha accolto il ricorso relativo a un impianto eolico da 33,5 MW promosso da Ven.Sar. nel Comune di Isili (SU), ordinando alla Commissione PNRR/PNIEC del MASE di pronunciarsi entro sessanta giorni, senza valorizzare i criteri di priorità seguiti dal Ministero nell’iter autorizzativo. Il Collegio chiarisce che l’inerzia serbata dall’amministrazione è illegittima e che la perentorietà dei termini della VIA impone l’adozione, in tempi certi, dello schema di provvedimento. La decisione si colloca in una finestra temporale peculiare: la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 25 giugno, cioè prima dell’arresto del Consiglio di Stato di luglio che, pur ribadendo la perentorietà dei termini, ha fatto salvo l’ordine di priorità definito dal c.d. DL Ambiente. Il TAR richiama invece la giurisprudenza amministrativa già consolidata su casi analoghi, citando una sentenza del Consiglio del 20 maggio 2024 e non quella più recente. Ne discende un possibile “sfalsamento temporale” tra l’indirizzo di legittimità e l’assetto decisorio di primo grado, che presumibilmente sarà colmato nei procedimenti successivi. Sul piano conformativo, il TAR impone alla Commissione PNRR/PNIEC di predisporre, entro sessanta giorni, lo schema di provvedimento di VIA senza vincolo di contenuto; il Direttore generale della Transizione ecologica del MASE dovrà adottare il provvedimento conclusivo nei successivi sessanta giorni. In caso di ulteriore inottemperanza, il Capo del Dipartimento Sviluppo Sostenibile, quale titolare del potere sostitutivo, è tenuto a provvedere entro ulteriori novanta giorni. La scansione dei termini riafferma la centralità del principio di perentorietà nella gestione dei procedimenti VIA e responsabilizza la filiera interna del Ministero rispetto agli obblighi di conclusione. Per gli operatori, il provvedimento offre un duplice segnale. Da un lato, conferma che l’inerzia procedimentale nell’ambito VIA è sindacabile con effetti conformativi stringenti, fino all’attivazione del potere sostitutivo. Dall’altro, lascia aperto il tema del coordinamento tra la perentorietà dei termini e il criterio selettivo dei “progetti prioritari” introdotto in via normativa e valorizzato dal Consiglio di Stato: un coordinamento che, alla luce della recente giurisprudenza, dovrà riflettersi sia nella composizione dell’arretrato sia nella calendarizzazione delle nuove istanze, così da evitare frizioni tra accelerazione procedimentale e ordine legale delle priorità.
(Lunedì 1 settembre 2025, da www.quotidianoenergia.it)
A9. Conto Termico 3.0 e PNRR: il perimetro giuridico degli incentivi alle biomasse “tecnologiche” tra qualità dell’aria e neutralità tecnologica
Il 4 agosto è stato approvato il decreto “Conto termico 3.0”, ora in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, con entrata in vigore prevista dopo 90 giorni. Il provvedimento rimodula la disciplina degli incentivi per la produzione di calore da fonti rinnovabili con un’attenzione specifica agli impianti a biomassa di ultima generazione, caratterizzati da emissioni di polveri e carbonio organico prossime allo zero. La scelta regolatoria assume rilievo in un dibattito spesso incentrato sul combustibile, mentre il decreto sposta il baricentro sulle prestazioni dell’impianto, rendendo ammissibile l’incentivazione della sostituzione di generatori a gas con caldaie a biomassa che rispettino soglie emissive stringenti, fino a 1 mg/Nm³. Il quadro nazionale si coordina con la normativa regionale lombarda, che già aveva anticipato criteri severi di qualità dell’aria per installazione ed esercizio, poi estesi al riconoscimento della rinnovabilità ai fini dell’adempimento degli obblighi di copertura ex art. 26 del D.Lgs. 199/2021. Le più recenti deliberazioni hanno rimosso pregresse limitazioni derivanti dall’Accordo del Bacino Padano, consentendo l’accesso a fondi di qualsiasi natura per impianti a biomassa conformi ai requisiti ambientali più rigorosi. Si tratta di standard più ambiziosi di quelli delineati nel nuovo Regolamento Ecodesign europeo in via di definizione, con la conseguenza che, sul piano applicativo, l’ammissibilità al sostegno pubblico è ancorata a parametri tecnici elevati e verificabili. La direzione intrapresa è destinata a riflettersi sulla prossima revisione del DM 186/2017, prevista dal Piano nazionale per il miglioramento della qualità dell’aria 2025–2027, già pubblicato in Gazzetta Ufficiale e dotato di una significativa provvista finanziaria. Il Piano persegue obiettivi stringenti nelle aree più critiche del Paese, rafforzando l’idea che la compatibilità tra decarbonizzazione e tutela della salute pubblica passi per l’innalzamento degli standard emissivi e per la localizzazione di tecnologie ad alte prestazioni in contesti idonei. In questa cornice, il Conto termico 3.0 amplia l’orizzonte degli interventi incentivabili, includendo il calore di processo e la riqualificazione energetico-ambientale delle reti di teleriscaldamento, e incentiva la sostituzione di generatori a GPL o gas naturale con sistemi a biomassa che rispettino i nuovi limiti emissivi. La logica è quella della neutralità tecnologica regolata da soglie prestazionali, nella consapevolezza che la riduzione delle emissioni climalteranti e inquinanti dipende dalla qualità degli impianti e dai relativi cicli di combustione e filtrazione, più che dalla mera etichetta della fonte. Sul versante degli investimenti pubblici, il PNRR sostiene le biomasse tecnologiche per la produzione di calore rinnovabile. Il GSE ha pubblicato le Regole operative della misura dedicata all’efficientamento e alla generazione rinnovabile nell’edilizia residenziale pubblica, con una dotazione rilevante finalizzata anche al contrasto della povertà energetica. L’allineamento tra incentivi nazionali e requisiti regionali consente, per i soggetti attuatori, una pianificazione coerente degli interventi e riduce il rischio di contenzioso in sede di ammissione e controllo. Nel complesso, il combinato disposto tra Conto termico 3.0, programmazione PNRR e aggiornamento degli standard ambientali configura un percorso di policy che riconosce alle biomasse-tecnologiche un ruolo strumentale nel conseguimento degli obiettivi 2030 di raddoppio del calore rinnovabile. La scelta regolatoria non attenua le tutele ambientali, ma le irrigidisce sul versante prestazionale, spostando il discrimine tra ciò che è incentivabile e ciò che non lo è sul terreno della misurabilità delle emissioni, dell’efficienza dei sistemi e della loro integrazione con obiettivi di qualità dell’aria e giustizia energetica.
(Lunedì 1 settembre 2025, dalla Staffetta Quotidiana)
A10. Aree idonee e procedimenti VIA: il punto sulle pronunce amministrative
In materia di danno ambientale, il Tar Basilicata conferma l’ordine di bonifica per il pozzo “Nova Siri Scalo 01”, valorizzando la sufficienza di un quadro tecnico indiziario ma coerente per radicare l’obbligo di ripristino. Sul versante economico-regolatorio, il Consiglio di Stato ribadisce la nullità della clausola del Comune di Ton che imponeva a Rotalenergia un canone annuo quale “compensazione”, riaffermando l’imperatività del divieto di prestazioni patrimoniali atipiche legate a impianti rinnovabili. Il contenzioso sui tempi procede in modo uniforme: Tar Puglia, Lazio e Sicilia accertano l’illegittimità del silenzio del MASE su istanze di VIA e impongono conclusioni rapide, spesso con commissario ad acta. Parallelamente, l’inefficacia dei pareri MiC resi oltre termine conduce all’annullamento di dinieghi, come nel caso Giannutri Energy; il Consiglio di Stato, con PV Ichnosolar, chiarisce che i vincoli paesaggistici non comportano automatismi preclusivi e pretendono motivazioni puntuali. Sul piano dei titoli, il Tar Calabria limita gli oneri procedimentali comunali alla cornice statale e distingue gli effetti della pianificazione sopravvenuta; in Umbria resta legittimo il diniego quando mancano un titolo valido sul compendio e la coerenza urbanistica; nel Lazio, in tema PAS per biometano, è censurato l’annullamento in autotutela privo di contraddittorio. Rileva, inoltre, l’annullamento della revoca GSE della maggiorazione del 5%: l’autorizzazione unica regionale opera quale variante urbanistica anche ai fini incentivanti. In chiave PNRR, il Consiglio di Stato riconosce che l’attivazione tempestiva di Invitalia quale centrale di committenza integra l’“avvio” delle procedure ai fini del Fondo Opere Indifferibili. Resta in stand-by la disciplina delle aree idonee: il Tar Lazio sospende due ricorsi e rimette alla Corte costituzionale lo stop al fotovoltaico su terreni agricoli del DL Agricoltura, congelando gli effetti degli atti attuativi. Il quadro rafforza tre invarianti operative: certezza dei tempi, motivazioni tecniche robuste e progettazione sensibile ai profili paesaggistici. In attesa del vaglio della Consulta, il baricentro resta il rigore procedimentale.
(Martedì 2 settembre 2025, dalla Staffetta Quotidiana)
A11. Umbria, disegno di legge “aree idonee” FER: i nodi giuridici tra permitting e CER
Le audizioni in II Commissione dell’Assemblea regionale sull’iter del Ddl umbro sulle aree idonee hanno messo a fuoco criticità di compatibilità con la cornice nazionale. Anev e Italia Solare hanno segnalato scostamenti in materia di perimetrazione delle aree e di regimi autorizzatori, con il rischio di misure restrittive e retroattive analoghe a quelle già oggetto di impugnazione in Sardegna, tema destinato a incrociare il giudizio della Corte costituzionale. In controluce, il Ddl estende i propri effetti anche a procedimenti VIA e autorizzativi pendenti, di competenza regionale o statale, sollevando profili di affidamento, irretroattività e leale collaborazione. L’assessore all’Ambiente Thomas De Luca ha escluso una moratoria verso l’eolico e anticipato criteri “valutativi” quali una soglia di producibilità minima annua pari a 2.300 ore, parametri di sicurezza e distanze dai centri abitati, nonché l’introduzione di un tetto massimo all’altezza degli aerogeneratori. La scelta, volta a ridurre la conflittualità territoriale, interseca l’interesse a impianti utility-scale richiamato dagli operatori e le istanze dei comitati contrari all’eolico appenninico, imponendo un bilanciamento motivato tra tutela paesaggistica, densità produttiva e obiettivi al 2030. Sul versante agricolo e associativo, le posizioni oscillano tra la domanda di presidio del suolo fertile e l’apprezzamento per un impianto normativo che privilegi aree già antropizzate, con richieste di maggiore determinatezza sulle distanze di sicurezza. Il capitolo comunità energetiche è strategico: la relazione al Ddl le qualifica “cellula base” del sistema regionale, ma emergono esigenze di semplificazione delle procedure, di governance efficiente e di superamento di una visione meramente reddituale, in favore del valore ambientale e di servizio. Dal punto di vista strettamente giuridico, l’efficacia del Ddl dipenderà dalla sua coerenza con i principi di proporzionalità e ragionevolezza, dal coordinamento verticale con la normativa statale ed europea su aree idonee e agrivoltaico e dall’adozione di clausole di salvaguardia per i procedimenti in corso. L’eventuale fissazione di soglie tecniche e limiti dimensionali dovrà poggiare su istruttorie solide e su motivazioni puntuali, evitando effetti di interdizione generalizzata. In attesa dell’esito costituzionale sul “caso Sardegna”, il successo regolatorio dell’Umbria si giocherà sulla certezza dei tempi, sulla qualità delle motivazioni e sulla capacità di rendere effettive, e non solo programmatiche, le CER.
(Mercoledì 3 settembre 2025, da www.quotidianoenergia.it)
B1. Contrattualistica
La Cassazione: Il pericolo di evizione non legittima il recesso nel preliminare di compravendita
Con l’Ordinanza n. 21254 del 25 luglio 2025, la Corte di Cassazione, Sez. II Civile, affronta il tema centrale nel diritto contrattuale del rapporto tra pericolo di evizione e diritto di recesso nei contratti preliminari di compravendita. La pronuncia si inserisce nel solco di una consolidata giurisprudenza che distingue nettamente tra rimedi previsti per la tutela dell’acquirente in presenza di un rischio di rivendicazione da parte di terzi e i presupposti legittimanti lo scioglimento del vincolo contrattuale. Nel caso di specie, una promissaria acquirente aveva esercitato il recesso, ritenendo inadempienti le promittenti venditrici a causa della presenza di rifiuti, anche pericolosi, sul sito oggetto della futura vendita, nonché per presunte incertezze sulla delimitazione dei confini dell’immobile. Tale recesso era stato giudicato legittimo dalla Corte d’Appello di Firenze, che aveva ritenuto sussistente un pericolo di evizione parziale. Tuttavia, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso dei promittenti venditori, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, precisando i limiti applicativi dell’art. 1481 c.c. e la sua relazione con il diritto di recesso ex art. 1385 c.c. Secondo la Cassazione, il solo pericolo di evizione – inteso come timore che un terzo possa rivendicare il bene – non è sufficiente a giustificare il recesso. In simili ipotesi, infatti, l’ordinamento offre all’acquirente un rimedio specifico: la sospensione del pagamento del prezzo, eventualmente accompagnata dalla richiesta di una garanzia, secondo quanto previsto dall’art. 1481 c.c. Perché tale strumento sia operativo, il pericolo deve essere attuale, concreto e grave, e non meramente presunto o soggettivo. Nel contratto preliminare, ciò comporta la possibilità per l’acquirente di sospendere l’obbligo di stipulare il definitivo o i pagamenti anticipati, in attesa che il venditore risolva la questione o offra garanzie idonee. La Corte sottolinea, inoltre, che la legittimità del recesso deve comunque essere valutata alla luce degli artt. 1453 e 1455 c.c., i quali impongono un accertamento rigoroso sulla gravità e sulla proporzionalità dell’inadempimento. L’eventuale richiesta dell’acquirente di regolarizzazione della situazione entro un termine stabilito non può, da sola, fondare il diritto di recesso, se non si accompagna a una effettiva violazione contrattuale valutata con i criteri sopra richiamati. Nel caso esaminato, la Corte ha rilevato che la decisione dei giudici di merito si è basata su una valutazione insufficiente degli elementi richiesti per l’applicazione dell’art. 1481 c.c., senza verificare se il pericolo di evizione fosse effettivamente configurabile e se fosse tale da incidere sull’equilibrio contrattuale. Ne consegue che, in assenza di riscontri oggettivi e della prova di un effettivo inadempimento, il recesso esercitato dalla promissaria acquirente non può ritenersi fondato. La sentenza impugnata è stata dunque cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze, affinché riesamini la controversia alla luce dei principi espressi dalla Cassazione, che ribadiscono l’autonomia e i limiti dei rimedi contrattuali disponibili in caso di conflitti derivanti da contratti preliminari.
(Mercoledì 6 agosto 2025, dal “Quotidiano Giuridico”)
B2. Edilizia
Responsabilità per rovina e difetti di cose immobili: la conferma della natura extracontrattuale
Il Tribunale di Bari, con la sentenza n. 2070 del 30 maggio 2025, ha offerto un nuovo contributo interpretativo all’art. 1669 c.c., riaffermando la portata estensiva della responsabilità per rovina e difetti di cose immobili. In linea con un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il giudice pugliese ha ribadito che anche i difetti riguardanti elementi secondari o accessori dell’immobile – come impermeabilizzazioni, rivestimenti e infissi – possono integrare l’ipotesi di grave difetto, purché incidano sulla funzionalità complessiva e sull’utilizzazione normale del bene secondo la sua destinazione. La norma codicistica configura una fattispecie di responsabilità extracontrattuale finalizzata non solo a garantire la stabilità e la solidità degli edifici e delle altre opere immobiliari destinate per loro natura a lunga durata, ma anche a tutelare l’incolumità delle persone. Ne consegue che l’azione è esperibile non soltanto dal committente nei confronti dell’appaltatore, ma anche dall’acquirente contro il venditore costruttore, laddove questi abbia assunto una posizione di diretta responsabilità nella realizzazione dell’opera. La giurisprudenza più recente ha ampliato ulteriormente l’ambito applicativo dell’art. 1669 c.c., riconoscendo che i gravi difetti possono riguardare tanto le strutture portanti quanto gli impianti e le finiture, purché si traducano in una compromissione della funzionalità o della sicurezza dell’immobile. È stata così consolidata l’idea che la rilevanza del vizio non dipenda dalla natura primaria o accessoria dell’elemento interessato, ma dall’effettiva incidenza sul godimento e sulla durata del bene. Il Tribunale di Bari si colloca dunque nel solco delle pronunce che qualificano la responsabilità ex art. 1669 c.c. come extracontrattuale, con conseguente irrilevanza della distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato assunte dai professionisti coinvolti nella progettazione o direzione dei lavori. Il progettista e il direttore dei lavori rispondono infatti solidalmente con l’appaltatore quando con le loro condotte abbiano concorso, per colpa professionale, a determinare i difetti dell’opera. Sul piano processuale, resta centrale la questione della decorrenza del termine annuale per la denuncia dei vizi, che secondo la Cassazione inizia a decorrere solo dal momento in cui il committente acquisisca una conoscenza oggettiva e completa della gravità del difetto e della sua derivazione causale dall’esecuzione imperfetta. Ciò comporta che la decadenza non può essere fatta valere in presenza di meri sospetti, ma richiede una base tecnico-probatoria sufficiente, normalmente acquisita attraverso una relazione peritale. La pronuncia barese, nel riaffermare l’estensione applicativa dell’art. 1669 c.c., contribuisce a consolidare un indirizzo volto a garantire la massima tutela del committente e dell’acquirente, confermando che la disciplina dei gravi difetti non si limita alle ipotesi di rovina strutturale ma si estende a tutte quelle situazioni in cui la funzionalità e la sicurezza dell’immobile risultino significativamente compromesse.
(Venerdì 8 agosto 2025, dal “Quotidiano Giuridico”)
B3. Edilizia
Coordinamento tra titolo edilizio e autorizzazione paesaggistica: la discrezionalità dei Comuni
Con la sentenza n. 7017 dell’11 agosto 2025 la IV Sezione del Consiglio di Stato ha chiarito i rapporti tra autorizzazione paesaggistica e titolo edilizio, ribadendo che, pur operando i due provvedimenti su piani autonomi e distinti, spetta al Comune la scelta di coordinare i relativi procedimenti. L’amministrazione locale, infatti, in quanto titolare della gestione e della tutela del proprio territorio, può subordinare il rilascio del permesso di costruire alla previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica oppure far confluire entrambi i titoli nell’ambito di un’unica procedura mediante conferenza di servizi. Il Collegio ha sottolineato che, sul piano normativo, tale coordinamento mira ad evitare l’automatica formazione del silenzio-assenso sul permesso di costruire in presenza di vincoli paesaggistici, privilegiando una disciplina unitaria capace di contemperare le esigenze urbanistico-edilizie con quelle paesaggistico-culturali. In tal senso, l’art. 146, comma 4, del D.Lgs. 42/2004 individua l’autorizzazione paesaggistica come atto autonomo e presupposto del titolo edilizio, qualificandola quale condizione di efficacia del permesso di costruire. L’art. 20, comma 8, del D.P.R. 380/2001, invece, legittima l’integrazione procedimentale dei due titoli, consentendo all’amministrazione comunale di gestire in maniera unitaria il rilascio dei provvedimenti abilitativi. La decisione del Consiglio di Stato conferma dunque che, sebbene l’autorizzazione paesaggistica e il titolo edilizio mantengano ciascuno la propria autonomia, i Comuni hanno piena facoltà di scegliere un modello di gestione che privilegi il coordinamento procedimentale. Tale impostazione rafforza la coerenza del governo del territorio, garantendo che l’efficacia dei titoli edilizi sia subordinata alla previa verifica della compatibilità paesaggistica, così da assicurare una tutela effettiva dei beni vincolati e scongiurare l’automatismo insito nei meccanismi semplificatori. La pronuncia, in continuità con precedenti orientamenti, si pone come ulteriore tassello nella ricostruzione del rapporto tra urbanistica e paesaggio, riaffermando il ruolo centrale del Comune nel bilanciare sviluppo edilizio e salvaguardia dei valori culturali e ambientali.
(Lunedì 25 agosto 2025, dal “Quotidiano Giuridico”)
B4. Società, Banca e Impresa
Scioglimento societario e clausole compromissorie
Con la sentenza del 6 maggio 2025, la Sez. Imprese del Tribunale di Milano affronta in modo sistematico la deferibilità in arbitri delle controversie tra soci e società aventi ad oggetto l’accertamento delle cause di scioglimento ex art. 2484 c.c., ridefinendo i confini tra indisponibilità del diritto, interesse collettivo dei soci e ruolo della volontà assembleare. Il caso nasce dall’azione di una S.r.l. immobiliare, nella quale due soci al 25% ciascuno godevano gratuitamente dell’immobile sociale, diretta ad accertare le cause di scioglimento per conseguimento dell’oggetto o sopravvenuta impossibilità di conseguirlo e per impossibilità di funzionamento o inattività dell’assemblea, nonché a ottenere la messa in liquidazione e il rilascio del bene. I convenuti eccepivano l’incompetenza del giudice ordinario in forza di clausola arbitrale statutaria che prevedeva tentativo di conciliazione e, in difetto, arbitrato rituale. Il Tribunale, muovendo dalla lettera degli artt. 806 e 838-bis c.p.c. e dalla clausola compromissoria, accoglie l’eccezione di arbitrato, escludendo che la domanda di accertamento dello scioglimento attinga a diritti indisponibili. La decisione prende le distanze dall’arresto tradizionale di Cass. 19 settembre 2000, n. 12412, e da taluni precedenti di merito, osservando che l’indisponibilità va misurata sull’oggetto del diritto sostanziale e non sulla mera “natura sociale” dell’interesse. Richiama, in continuità, l’indirizzo secondo cui non è sufficiente la dimensione collettiva dell’interesse a sottrarre la lite all’arbitrato, occorrendo norme inderogabili che attivino una reazione dell’ordinamento svincolata dall’iniziativa di parte; in tale solco si collocano, fra le altre, Cass. 23 febbraio 2005, n. 3772, e Cass. 12 settembre 2011, n. 18600, nonché i successivi interventi che qualificano effettivamente come indisponibili, ad esempio, le regole imperative sulla chiarezza e precisione del bilancio (Cass. 2019, n. 14665; Cass. 2020, n. 20462; Cass. 2023, n. 9434). Nell’ottica del Giudice, l’assetto codicistico conferma la disponibilità, da parte della collettività dei soci, delle vicende estintive: la società può sciogliersi per deliberazione assembleare (art. 2484, n. 6), la durata può essere prorogata, lo scioglimento per sopravvenuta impossibilità dell’oggetto è evitabile mediante modifiche statutarie, mentre la causa da perdita del capitale è superabile con il ripianamento e la ricostituzione del minimo legale. L’intero statuto delle cause e della loro eventuale revoca (art. 2487-ter) evidenzia che si tratta di scelte negoziali patrimoniali rimesse all’autonomia sociale, salva la soglia dell’abuso (Cass. 2005, n. 27387). Ne discende l’inesistenza di un “diritto all’esistenza” della società opponibile alla volontà collettiva: l’ente non esprime un interesse proprio confliggente con quello dei soci in punto di prosecuzione o scioglimento, come già osservato in giurisprudenza di merito. Quanto alla legittimazione processuale, il Tribunale chiarisce che la società è litisconsorte necessaria nelle azioni di accertamento dello scioglimento, pur essendo priva di un autonomo “diritto di esistere”. In capo ad essa, per il tramite degli amministratori, permane il dovere di vigilare sulle condizioni della propria continuità (art. 2485, comma 1), da cui discende il diritto-dovere di interloquire nei giudizi di accertamento. In presenza di clausola compromissoria statutaria, la natura necessaria del contraddittorio impone la traslazione in arbitri anche della controversia che coinvolga la società rimasta contumace, in applicazione combinata degli artt. 102 c.p.c., 816-quater, 816-quinquies, 819-ter e 838-bis c.p.c.; diversamente, il lodo sarebbe nullo per violazione del litisconsorzio. Diversa la conclusione per la domanda di “messa in liquidazione” e di nomina del liquidatore. Il Giudice osserva che la fase liquidatoria nelle società di capitali è necessaria e tipizzata, ma la nomina del liquidatore non può essere oggetto né di decisione arbitrale, trattandosi di materia indisponibile in senso proprio, né di sentenza costitutiva in sede contenziosa in assenza di base legale tipica, in ossequio al principio di tassatività delle sentenze costitutive ex art. 2908 c.c. La liquidazione, del resto, si apre con l’iscrizione della nomina nel registro delle imprese (art. 2487-bis), sicché la pretesa “messa in liquidazione” non ha autonoma consistenza se scissa dal titolo legale di nomina. Sul fronte dei rapporti interni, il Tribunale respinge la domanda del socio attore volta a far dichiarare contrario all’interesse sociale il godimento dell’immobile da parte degli altri soci e a ottenerne il rilascio, rilevando il difetto di titolarità sostanziale in capo al singolo socio rispetto a un bene di proprietà della società, cui soltanto competono le azioni di tutela. La pronuncia offre agli operatori una traccia chiara: le liti sull’an e sul se dello scioglimento rientrano, in presenza di clausola statutaria, nell’alveo dell’arbitrato, perché incidono su situazioni che l’ordinamento rimette alla volontà collettiva; restano fuori, per contro, gli snodi provvedimentali tipici e necessari della liquidazione, che esigono gli strumenti e i riti previsti dalla legge. Per gli interpreti, questa sentenza consolida il superamento della visione che faceva dell’“interesse alla vita della società” un limite generalizzato all’arbitrabilità e riallinea la materia ai criteri di disponibilità effettiva del diritto e di inderogabilità normativa, in coerenza con l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità.
(Lunedì 1 settembre 2025, dal “Quotidiano Giuridico”)